mercoledì 30 aprile 2008

Punti di vista !

Ho interrotto un amico che mi stava dicendo “Sai che ti trovo....”
” Basta così – l’ho rassicurato -Io sono già felice che tu mi trovi!”

martedì 29 aprile 2008

Liti di condominio.

Mi sgomenta sempre l’accanimento malevolo verso situazioni irreversibili che dovrebbero avere accoglienza più equilibrata. Mi è capitato recentemente di assistere a rabbiose reazioni nei confronti di extra comunitari in una residenza condominiale. Si tratta per la verità, di gravi molestie dovute a chiassosi festini notturni che si protraggono fino all’alba per un intero mese all’anno.

Definire increscioso il fatto é un eufemismo e l’esasperazione di chi é, suo malgrado, coinvolto é più che legittima. Non ci sono attenuanti per il comportamento di chi non rispetta le più legittime necessità altrui. Purché ci si riferisca ai fatti e non alla collocazione geografica di chi li provoca.

L’evento ha riportato alla mia mente avvenimenti analoghi che hanno leso i miei sacrosanti diritti. Due bimbe di otto e dieci anni che occupavano con la famiglia l’appartamento sopra quello abitato da me, schettinavano in casa e il fatto avveniva tra le 12,30 e le 14,30 di ogni giorno e mi impediva, nel corso dell’intero anno un po’ di relax.

Alle mie rimostranze la mamma dei due angioletti (italianissimi) mi ha risposto:” Salga lei da me e veda se riesce a farle smettere”.

In tempi successivi, in un’ amena località del Lago di Garda ho avuto la disavventura di trovarmi a fianco di un famiglia di rispettabili professionisti milanesi, i cui figli dai 16 ai 19 anni (due maschi e una fanciulla) tenevano il volume dello stereo (a livelli insopportabili) nel corso di quasi tutte le notti estive. Sono intervenuta ripetutamente, ma non so dire quante angherie ho dovuto subire da parte dei ragazzi in questione e dei loro amici.

Siamo certamente in molti ad avere ricordi sgradevoli in tema di rapporti di vicinato, ma sono convinta che non é il colore della pelle o l’estrazione geografica che determina i fatti. Sono gli individui, considerati singolarmente, che convalidano i comportamenti e sarebbe ora di chiamare “cafoni” quelli che lo sono e non – invece – negri, beduini, indiani o altro.

Quando questo concetto sarà assimilato, con la necessaria, paziente partecipazione di tutti, avremo raggiunto un traguardo che ci consentirà una più tranquilla convivenza. E’ ovvio che ognuno dovrà contribuire attivando – sempre e soprattutto – l’obiettività. Questo é ciò in cui personalmente, credo ! La meta è lontana ma, a piccoli passi......... può essere raggiunta. r.m.

Progressi della medicina e punti di vista !

Se dovessi morire a 150 anni, vorrei che qualcuno scrivesse per me :
“prematuramente scomparsa".Per porgere, assieme alla mia verità...
ancora un sorriso !

domenica 27 aprile 2008

Dal "repertorio di sostegno" per la terza età !

Posso essere più disinvolta nell’ aspetto, perché
i giovani non mi guardano e quelli della mia età...
ci vedono talmente poco !

sabato 26 aprile 2008

1940/1945 seconda parte

Ma c’è stato anche chi ha tratto vantaggio dalle quotidiane incombenti necessità della gente. i malati, i vecchi, coloro che non avevano fonti di approvvigionamento o mancavano della possibilità materiale di reperirle, erano costretti a dipendere da chi faceva la così detta “borsa nera” e (mentre alcuni si accontentavano di un modesto guadagno) c’era chi speculava praticando un vero e proprio strozzinaggio, arricchendosi.

Li chiamavamo “pescicani”. Ma questo termine non era certo tra quelli più agghiaccianti di cui si arricchì, velocemente, il vocabolario di quei tempi : “SS” Ghestapo, disertore, rastrellamenti, deportazione, rappresaglia, coprifuoco, oscuramento, mitragliamento, collaborazionismo, selezione etnica.

E poi…c’erano i bombardamenti. In una notte di luna, dell’estate del 1943, quando il cielo si illuminò artificialmente con l’arrivo di centinaia di “bengala” (palloni fluorescenti sganciati sulla città per illuminarla a giorno) cominciò un furioso bombardamento che sembrava non finire mai. Uscendo dal rifugio, trovammo la porta della nostra casa, contorta e le nostre quattro biciclette…sparite. Gli sciacalli aveva agito anche sotto le bombe.

A quella notte ne seguirono altre nel corso delle quali scappavamo tutti come topi nelle umide cantine, con le nostre poche cose senza sapere se al cessato allarme, avremmo ritrovato le nostre case o come accadeva a molti…ritrovarsi, impietriti con gli occhi gonfi di lacrime, a guardare macerie che disperdevano il frutto di anni di sacrifici.

Ma non era questa la sola, quasi quotidiana tragedia di quei giorni. Un’altra – di ben altra natura – entrava subdolamente nelle case, nelle famiglie e le minava, sfaldandole. La mia generazione si trovava alleata dei tedeschi mentre i nostri padri avevano visto nei tedeschi il nemico da combattere nella precedente guerra (1915-18) e nella stessa famiglia le divisioni ideologiche erano profonde.

Anche tra coetanei, alcuni si schieravano con le scelte di Mussolini e altri buttavano l’occhio oltre confine perché sentiva aleggiare, minacciosa la parola “deportazione”. E così mentre un ragazzo si rifugiava in montagna per combattere a fianco dei partigiani , suo fratello (fratello di sangue) si schierava a fianco dei tedeschi per scovarlo in quanto “ disertore”. Il tutto sotto lo sguardo disperato e impotente dei genitori.

Quei cinque lunghi anni che mi hanno transitato dall’adolescenza alla giovinezza hanno visto l’Italia lacerata in ogni senso…occupata al sud dalle truppe americane che avanzavano faticosamente conquistando palmo a palmo questa nostra terra martoriata mentre nel nord il Duce ancora ruggiva a Salò.

Tutti i Ministeri dovettero trasferirsi frettolosamente da Roma in alcune città del nord e a Brescia trovò idonea sede (a seguito della requisizione di una bella scuola elementare cittadina) quello delle Finanze, presso il quale fui assunta in qualità di impiegata realizzando così un temporaneo, ma utilissimo introito che fu il benvenuto anche in famiglia.

Consegnato ogni mese, orgogliosamente, alla mamma il reddito del lavoro ricevevo da Lei una modesta cifra da gestire a mio piacere. Cosa che facevo con parsimonia privilegiando però alcuni lussi tra i quali c’era…il bagno caldo al Diurno ! (albergo diurno)

Il “Diurno” offriva un complesso di servizi che comprendevano il barbiere, la manicure e i bagni. Entravo raggiante, con il fagottino della biancheria pulita e mi dirigevo alla cassa dove chiedevo felice: “bagno e manicure” iniziando così il settimanale gioioso intermezzo alla routine non proprio tranquilla di quei giorni bui.

Un inserviente in camice bianco mi accompagnava nel piccolo stanzino, lavava e disinfettava la vasca (seguita dal mio sguardo attento), faceva scorrere l’acqua calda che avvolgeva tutto in un vapore irreale; mi consegnava una saponetta piccolissima che mi scivolava spesso dalle mani e che recuperavo come un piccolo tesoro, mi augurava “Buon bagno” e se ne andava.

Rimasta sola immergevo il mio giovane corpo nell’acqua e lasciavo che la mente vagasse cercando oasi meravigliose e tranquille. Ed era lì – nell’età dei sogni – che immaginavo di sconfiggere il drago, superando difficoltà, sbarrando la strada a meschinità e soprusi fino a trovare il mio spazio speciale.

Ed era lì che sognavo il mio uomo, l’uomo da amare, tra le cui braccia avrei conosciuto la più completa, ignota felicità. Uscivo gocciolante dalla vasca, forte di tutte le mie certezze, mi rivestivo appagata e felice ed entravo nel regno della vanità, del superfluo.

Porgevo la mia mano alla manicure e mi rilassavo guardandola. Mary aveva capelli rossi, crespi, raccolti sulla nuca e l’aria triste, rassegnata. Aveva poco più di trent’anni ed era considerata zitella (le “single” sarebbero arrivate molti anni dopo) .Nei suoi occhi grandi, chiari, vedevo però apparire, un bagliore di speranza quando un maturo signore chiedeva di lei per la cura delle mani.

Una sorta di tenera civetteria la animava in quegli attimi, ma spariva assieme all’uomo che se ne andava. Cara Mary. Era bravissima nel suo lavoro e lo svolgeva con abilità e sicurezza contribuendo a farmi sentire, almeno per un paio di giorni, una signora. Le mie mani che scorrevano sulla tastiera della mia fedele Olivetti, così curate, con le unghie perfettamente smaltate, mi infondevano un senso di tranquillizzante, civettuolo, sornione benessere.

Le stesse mani scivolano adesso, ancora velocemente, sulla tastiera del computer, ma non riescono a tenere il passo con i ricordi che si affacciano prepotenti, si spingono, si accavallano protendendosi, tutti, per essere riportati a galla per primi.

Vogliono parlare di una vita senza imprese di rilievo. Una bella, normale vita che confortata da questi due semplici aggettivi si rivela, ai miei occhi, privilegiata.

Una vita, che – nella fase adolescenziale – è inserita in un contesto storico di rilievo. 1940 – 1945 anni di guerra che hanno lasciato in me un’unica certezza : lo strazio, le lacerazioni, i lutti, le ferite, le devastazioni sono e saranno sempre – anche per i vincitori - una tragica sconfitta. rm.

venerdì 25 aprile 2008

1940 – 1945 prima parte

Estate 2003 - Seduta in un bus cittadino osservo una giovane donna che, sbuffando, si destreggia per trovare una collocazione a vari sacchetti del supermercato, colmi di ogni genere alimentare.

Nel dare voce al suo disagio si rivolge a me con tono pieno di sconforto: “Sempre a sfacchinare con queste borse…..poi cucinare….fare di nuovo la spesa…..preparare altri pasti ….proprio una bella routine!.“

Le rivolgo soltanto un sorriso perché, improvviso, riaffiora il ricordo di un tempo in cui rincasare con borse piene di ogni ben di Dio sarebbe stato, per me e per molti, il colmo della felicità.

Quando avevo poco meno dell’ età della mia occasionale interlocutrice, c’era la guerra ed erano le privazioni e la fame le componenti più significative …della mia routine. E, inaspettatamente, i miei pensieri galoppano a ritroso.

Quando, il 10 giugno 1940, l’Italia entrò in guerra mi accingevo ad affrontare la mia adolescenza con la naturale incoscienza dell’età che (almeno inizialmente) mi aiutò ad affrontare gli eventi.

Di quegli anni ricordo il sentimento che coglievo negli occhi degli adulti a cominciare da mia madre. Rivelava inquietudine, paura. Variava soltanto l’intensità o la sfumatura che oscillava tra la preoccupazione, la tristezza o l’angoscia.

Erano occhi che spiavano continuamente : il cielo (e la nuvolosità era sempre la benvenuta perché diradava i bombardamenti); le strade, perché gli uomini in divisa (qualunque divisa) potevano costituire un pericolo. Erano occhi che scrutavano altri occhi perché i contrasti ideologici di quegli anni potevano avere un prezzo altissimo. L’ansia era costante. Mancava tutto.


Per l’acquisto del pane (scuro, ma non integrale come si usa oggi) veniva consegnata ad ognuno una tessera suddivisa in bollini. Un bollino = un pane. Quattro al giorno per la mia famiglia, e noi eravamo in quattro. Mia madre in quel tempo “soffriva di inappetenza” oppure “aveva già mangiato”.

La mamma però aveva trovato un espediente che le costava non poca fatica: partiva in bicicletta ogni mattina all’alba e si recava in una cascina sperduta nella nebbia della pianura padana. Barattava qualche nostra cosa in cambio di due panini bianchi che una contadina le cedeva.

Due tesori che portava a casa e custodiva gelosamente : uno per papà (sempre dolorante per un’ulcera contratta durante la lunga permanenza in trincea durante la precedente guerra del 1915/18) e l’altro veniva tagliato e servito come dessert alla fine della parca cena: un po’ per ognuna di noi, le tre donne di casa.


Lo gustavamo a bocconcini in compiaciuto silenzio dopo esserci accertate che la porta di casa fosse ben chiusa e non si faceva cenno ad anima viva di questi nostri festini. Si potevano avere guai gravissimi per un tale privilegio!

So però che nella bruma mattutina, nelle fredde albe invernali, un occhio attento non avrebbe visto solo la mia mamma pedalare velocemente verso la campagna. Le stesse necessità coinvolgevano tutti e, in quegli anni, solo nelle cascine si poteva trovare qualcosa per non soffrire troppo per la fame. Tutto era razionato, anche l’olio , ma qualche patatina lessata e calda sembrava deliziosa anche così. Uova, latte, burro, farina, …inestimabili tesori! - segue
– A domani !

giovedì 24 aprile 2008

Dal "repertorio di sostegno" per la terza età !

Quando mi prende la smania di avere un uomo ai miei piedi.....vado dal callista. Lui riesce sempre a farmi felice. Pagando s’intende!

Quando la coppia scoppia

La natura insegna, con il ritmico dipanarsi delle stagioni, che ci vuole tempo per tutto e - a conferma - vorrei ricordare che ci vuole tempo soprattutto per il consolidamento dei sentimenti.

Nella realtà che attualmente ci coinvolge, trovano spazio anche impulsivi atteggiamenti destabilizzanti che, purtroppo, si concretizzano col repentino dissolversi di unioni nate sovente sotto i migliori auspici.

Sempre più frequentemente alla tristezza inevitabile che coinvolge il fallimento di una unione fra adulti consapevoli, si insinua un disagio più profondo e angosciante quando - nel pur nel breve percorso di coppia - nuove vite si trovano coinvolte in decisioni che definire affrettate è un eufemismo.

Non è il caso di rimpiangere l’epoca, nemmeno tanto remota, nella quale il matrimonio era indissolubile perché il vincolo “per la vita” ha prodotto infelicità insanabili, ma è indubbio che tra la rigida concezione del passato e la sconcertante attuazione di talune repentine separazioni, dovrebbe interporsi l’impegno imprescindibile a tutela dei figli che, incolpevoli, vengono privati di una rassicurante collocazione nella famiglia .

“Presto e bene non avviene” era la cantilena che, nel corso dei miei verdi anni, cercava di frenare l’istintiva giovanile irruenza e, nel contempo, l’esempio poneva in primo piano la prerogativa che - più di ogni altra - richiede costanza e coraggio : la pazienza, che è la più pregevole componente della coerenza.

Ed è difficile individuare coerenza quando non trovano priorità i diritti ineludibili dei figli liberamente generati. I sentimenti hanno bisogno di tempo per stabilizzarsi, richiedono comprensione, disponibilità e si costruiscono con un costante, vigile, paziente impegno.

Da sempre l’amore eccessivamente idealizzato è facile bersaglio della delusione. La vagheggiata, perfetta simbiosi si realizza soltanto nelle favole che si concludono con il fatidico “e vissero felici e contenti” proprio nel momento in cui, nella vita reale, prendono forma le verifiche della quotidianità impegnativa e piena di sfaccettature.

All’inizio di una storia i protagonisti porgono di loro stessi soltanto il meglio, ma alla distanza…alla lunga…è inevitabile che nella persona che abbiamo scelto, emergano alcune diversità e anziché tentare ostinatamente di eliminarle, sarebbe più semplice e costruttivo…..imparare a conviverci.

La pazienza che è auspicabile sempre e comunque,è imprescindibile per rafforzare qualsiasi rapporto e diviene doverosa quando egoistici impulsi tentano di prevalere. Se non viene attivata in un legame già instaurato, dovrà comunque essere chiamata in causa in qualsiasi rapporto successivo. E allora???

Aspettarsi molto dall’amore è legittimo e naturale, ma chiedere ogni tanto all’intelligenza di interporsi tra le esigenze dei sentimenti e quelle del quotidiano, è spesso opportuno e qualche volta indispensabile per assolvere impegni che ci siamo liberamente assunti.

Forse vale la pena di rivalutare la pazienza che qualche volta premia con risultati più gratificanti dell' impulsività. r.m.

mercoledì 23 aprile 2008

Lord Byron pose :

In memoria di Boatswain splendido terranova
che morì a Windsor il 18 novembre 1815
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in questo luogo è deposta la spoglia di uno che fu

bello senza vanità
forte senza insolenza
coraggioso senza ferocia

Egli possedeva tutte le virtù dell’uomo
senza i suoi vizi.

Abbazia di Newstead - Scozia

martedì 22 aprile 2008

Non è giusto !

Giornale di Brescia del 28 aprile 2008
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E’ appena terminato su canale 5 un bel programma condotto da Gerrj Scotti che intrattiene da par suo dalle 19 alle 20. un folto pubblico di telespettatori.

Il programma è interessante, pulito, piacevole, ben condotto ma, in esso si colloca una nota profondamente sconfortante. L’importo dei premi . Non capiterà frequentemente ma, stasera, la coppia di concorrenti (due coniugi di Roma) ha meritatamente vinto la bella cifra di 247,500 euro.

Dopo aver tifato per loro sono stata costretta a focalizzare alcune ineludibili realtà. Quei 247.500 euro (quasi 500 milioni di vecchie lire) li pagheranno i telespettatori perchè la televisione commerciale poggia, si regge e vive di pubblicità.

Chi fa pubblicità ai suoi prodotti recupera tali costi aumentando i prezzi di quegli stessi prodotti che noi acquistiamo, ovviamente maggiorati anche da questi oneri. E’ evidente che i concorrenti parteciperebbero volentieri anche per cifre inferiori e allora...... Perchè non dare al denaro il suo valore.

In fondo è un gioco ! Qualunque cifra intascata – anche meritatamente – ma in tempi relativamente brevi costituisce un gratificante risultato. Ma non dovrebbe costituire un insulto per chi, nemmeno dopo una vita di rinunce riesce a risparmiare cifre del genere.

Santo cielo! Ridimensioniamo queste cifre, ragionevolmente. E ci sarà sempre chi vorrà cimentarsi. Ma da qualunque prospettiva si guardi il problema corrispondere premi così esorbitanti Non è giusto. Davvero. Non è giusto!

A ben guardare...è perfino immorale. Con un po’ di amarezza e con qualche speranza, ringrazio per l’attenzione.r.m.

lunedì 21 aprile 2008

Il pensiero del giorno - 21 aprile 2008

I figli cominciano con l'amare i genitori;
poi li giudicano; raramente li perdonano.
Oscar Wilde

domenica 20 aprile 2008

Gioie e dolori del vivere a lungo

Ho recentemente sentito definire la vecchiaia "capolinea" "traguardo" inarrestabile degrado" e - pur nel rispetto del malessere evidenziato dall'uso di aggettivi tanto deprimenti - mi concedo la libertà di discutere un po' sul tema perché ritengo che il pianeta anziani possa essere esaminato anche in un'ottica meno pessimistica.

Il vivere a lungo è, in fondo, realtà relativamente nuova e bisogna imparare ad affrontarla. È una conquista che stiamo tentando di gestire al meglio per riservarle un più consapevole spazio. Chi ha il privilegio di raggiungere questa stagione della vita, sa bene che la serenità è conquista difficile anche perché, quando crediamo di averla raggiunta, ci accorgiamo che è discontinua.

Senza preavviso, improvvisamente ci abbandona, la fatica del vivere si fa sentire e convivere con gli inevitabili acciacchi è compito gravoso. Del resto qualsiasi fase della vita pone problemi: l'adolescenza (acne giovanile compreso) ha i suoi problemi; la maturità ne prospetta altri; la cosiddetta mezza età non risparmia momenti di crisi.

Forse noi, le nuove pantere grigie, possiamo aiutarci (so che è difficile) cercando di sorridere di noi stessi, delle nostre disattenzioni, dei vuoti di memoria, della nostra agilità sparita, dei pisolini improvvisi, delle nostre insicurezze. Sorridere di sé e agli altri è sempre valida terapia, non essere curiosi ma, interessati a tutto e a tutti.

Nel raggiungere quella che ho chiamato "primavera della vecchiaia" ho fatto delle riflessioni. Ad esempio: "noi donne passiamo metà della vita a cercare l'amore, e l'altra metà a cercare gli occhiali". E ancora: "Una volta partivo per le vacanze con la valigia piena di sogni; adesso è piena di medicine". Al ritrovarci di allora ci mostravamo foto piene di sorrisi. Adesso confrontiamo le radiografie.

Quello che conta è ritrovare gli occhiali e servirsi delle medicine. Accettare gli inevitabili cambiamenti e non permettere che la perdita di vigore inacidisca il cuore, anche questa è terapia. Sedersi in panchina anche soltanto per assistere ai giochi, anche questa è terapia

Sono certa che con un po' di disponibilità e con un certo quotidiano allenamento impareremo. In attesa cancelliamo dal nostro vocabolario la parola "ormai" e, anche, la malinconica frase "ai miei tempi".

Quest'ultima può essere sostituita con la più serena " quand'ero più giovane" perché i miei tempi sono indubbiamente anche questi, gli attuali, i nostri!

Forza ragazzi! Cogliamo i fiori di questa nostra diversa primavera e...attenti alla schiena !
r.m.

sabato 19 aprile 2008

Una cantilena dedicata a chi...........

A chi ama poltrire,ma si alza comunque di buon umore
A chi saluta, al mattino, ancora con un bacio
A chi lavorando molto...si diverte
A chi ha fretta, ma non suona il clacson ai semafori
A chi arrivando in ritardo si scusa senza cercare scuse
A chi spegne il televisore per fare due chiacchiere
A chi è felice il doppio se può fare a metà
A chi - non richiesto - porge aiuto ad un amico
A chi ha l’entusiasmo di un bambino e pensieri da uomo
A chi vede nero solo quando è buio
A chi non aspetta il Natale per essere migliore
A chi si ferma per porgere ascolto
A chi si intenerisce per la fragilità di che soffre

Grazie, dal profondo del cuore !

venerdì 18 aprile 2008

Appartenere al gruppo... o al branco

Una mamma, preoccupata perché il figlio quindicenne si avvia a gestire la sua autonomia, con eccessiva spensierata superficialità mi ha coinvolto nel suo disagio.

Anch’io ritengo che il tragitto che lo traghetterà nell’età adulta sia fondamentale e considerato che sono, per questioni anagrafiche, «in panchina», ho già avuto modo di cogliere, in alcuni adolescenti (e non solo), atteggiamenti che lasciano intuire frustranti insicurezze interiori.

Chi maschera il suo disagio alternando fasi di isolamento con periodi di euforia, adotta quasi sempre comportamenti sopra le righe. Mutismo in casa ed eccessiva dipendenza dagli amici. Capita così di chiedersi con giustificata preoccupazione, se si è inserito in «un gruppo» o è confluito, forse inconsapevolmente, «nel branco».

Qualunque individuo che abbia completato la sua formazione, conosce perfettamente la differenza ma, per un ragazzo che si affaccia fiducioso alla vita, potrebbe non essere altrettanto lampante.

Può quindi essere utile ribadire che l’appartenenza al «gruppo» consente di interagire alla pari, fruendo di conoscenze ed esperienze comuni che influiscono positivamente sull’interiorità, mentre l’appartenenza al «branco» ha ben altre caratteristiche.

Il termine «branco» - opportunamente ripreso dal linguaggio convenzionale riferito agli animali - presuppone la presenza di un «capo branco» (quasi sempre un bullo, sempre dissacrante e malamente orientato) che si attornia di elementi subordinati, facilmente addestrabili ad imprese che hanno come sfondo la prevaricazione e la prepotenza collettiva a danno del singolo.

Pertanto, è necessario evitare di assegnare, nel campo della stima, posizioni privilegiate a chi ha meriti tutti da comprovare (guai ai falsi idoli)! È inoltre opportuno valutare se basta inserirsi in un contesto qualsiasi, accettando ciò che passa il convento o è meglio adottare un criterio anche solo parzialmente selettivo.

La speranza della mamma che ha formulato la sua amorevole richiesta d’aiuto potrebbe poggiare su un sereno dialogo, e magari concludersi con una affettuosa esortazione al figlio; «Ricorda che anche tu sei unico, irripetibile e dovrai essere fiero dell’uso che avrai saputo fare dei talenti che ti sono stati dati in sorte».

In teoria, s’intende! Perché, in pratica, sarà soltanto il giovane protagonista che dovrà fornire la necessaria collaborazione. Solo questa è l’inconfutabile certezza. -


P.S. Mi è stato attribuito l’uso di un linguaggio poco adatto al contesto giovanile infarcito di una diversa genuina spontaneità. Ci penseranno i giovani genitori ad adeguare il linguaggio perché «cavolo!» per me è tardi per cambiare. –

giovedì 17 aprile 2008

Il pensiero del giorno - 17 aprile 2008

Beati coloro che desiderano eternamente ciò che posseggono. Sant’Agostino

mercoledì 16 aprile 2008

Vivere in coppia.

In un ristorante cittadino mi apprestavo a gustare la mia cenetta con l’accattivante prospettiva di funghi alla griglia e pollo ai ferri quando mi accorgo di dare di spalle ad una giovane coppia appena intravista.

Come sempre l’attesa si fa più lunga del previsto e l’orecchio viene colpito da una frase sibilata e agghiacciante : “ Meglio così, finiamola: lasciamoci subito e...ognuno per la sua strada!” Immediata la risposta inequivocabilmente astiosa : “Sarebbe stato meglio che l'avessimo deciso un anno fa,prima di sposarci".

La mia serata si stava deteriorando e i pensieri si affollavano nella mia mente sospinti dal disagio e dall’impotenza. Pensavo all’amore; all’amore in generale che poi finisce per condizionare tutta la nostra vita.

E, a proposito d’amore riaffiorò un episodio che non ho mai dimenticato : Capitava – in casa della mia nonna – che giovani sposi o promessi sposi venissero a passare qualche momento e c’era una frase che mi stupiva e allarmava sempre: alle coppie che avevano cominciato a camminare insieme nella vita, la nonna timidamente ma, anche ansiosamente chiedeva: “Vi tollerate?”

Per la mia sensibilità di adolescente una domanda del genere era davvero sconcertante. Ma come, pensavo, un sentimento importante, forte, assoluto come l’amore che dovrebbe produrre felicità, entusiasmo, coinvolgimento e anche appagamento delle più segrete aspirazioni, può essere ridotto
ad un accomodante, quotidiano comportamento basato sul tollerare anzichè sul condividere?!

La ribelliome mandava in tilt la mia testolina e in cuor mio rifutavo l’idea di un rapporto che non fosse, almeno, perfetto. Poi l’impatto con la vita, coi rapporti, con l’amore e l’analisi accurata e continua per arrivare a capire cos’è – o meglio – come deve essere un sentimento per essere degno di chiamarsi amore.

In seguito credo di averlo intuito in qualche rapporto che si era naturalmente assestato (magari dopo la passione) proprio sulla tolleranza, prendendo atto delle diversità individuali per accoglierle con tenerezza.

La persona – scelta per quelle stesse caratteristiche che in seguito ci intestardiamo e voler cambiare o addirittura a stravolgere – finisce per essere trascinata in un ambito nel quale poi fatichiamo a riconoscerla.

Crescere insieme, migliorandosi, sorridendo reciprocamente delle dissonanze caratteriali...forse è questa la chiave che apre la porta alla serenità di un rapporto appagante? E se tollerarsi significasse amarsi "veramente" ? Forse...e, nel dubbio, io sono portata a dar ragione alla mia nonna e alla sua saggia, trepida, tenera domanda: “ Vi tollerate?”

martedì 15 aprile 2008

la filastrocca dei dodici mesi

L'ho imparata a scuola, ai tempi in cui il nozionismo imperava!
E meno male! ancora la ricordo e mi fa compagnia, in queste
piovose giornate. Se la conoscete spero non disturbi, è tanto breve !

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Gennaio mette ai monti la parrucca

Febbraio grandi e piccoli imbacucca

Marzo libera il sol da prigionia

Aprile di colori attraenti orna la via

Maggio ci dona il canto degli uccelli

Giugno appende frutti ai ramoscelli

Luglio falcia le messi al solleone

Agosto, saggio, al sicuro le ripone

Settembre i dolci grappoli arrubina

Ottobre,alla vendemmia, empie la tina

Novembre sparpaglia foglie in terra

Dicembre….ammazza l’anno e lo sotterra

lunedì 14 aprile 2008

Il pensiero del giorno - 14 aprile 2008

E’ bello scrivere perché riunisce due gioie:
parlare da solo e parlare a una folla.
Cesare Pavese.

domenica 13 aprile 2008

Armi improprie.

Il termine “arma impropria” indica qualsiasi oggetto in grado di ferire il corpo nella sua materialità. Ma vorrei oggi considerare la vulnerabilità dello spirito, dell’anima. Oltre alla violenza psicologica, che si palesa con atteggiamenti prevaricanti o costrittivi che mortificano slanci e aspirazioni, anche l’indifferenza, la scarsa considerazione, il rifiuto all’ascolto,il disprezzo palese o sottinteso, il sarcasmo e l’egoismo sono “armi improprie” distruttive e laceranti.

Possono ferire, oltraggiare, alterare – spesso irreparabilmente – l’interiorità dell’individuo. Stupisce perciò il fatto che,frequentemente, armi come quelle indicate vengano usate con noncurante leggerezza anche da persone abitualmente collocabili tra le “brave persone” che nemmeno si accorgono della scia di mortificazione e di dolore che si lasciano alle spalle.

Usare inconsciamente un atteggiamento indifferente lascia inascoltate le mute (a volte disperate) richieste che aleggiano intorno a noi. Purtroppo siamo tutti – chi più, chi meno – coinvolti nel frenetico ingranaggio della quotidianità e non troviamo più il tempo per sostare, considerare e riflettere sulle conseguenze di comportamenti troppo superficiali e disattenti.

Eppure è capitato a tutti di sentirsi inaspettatamente rassicurati e confortati da uno sguardo attento, da un sorriso partecipe, da un’inattesa cortesia, da un po’ di attenzione.

Dovrebbe quindi risultare facile capirne l’importanza. Proviamo a fermarci per prestare attenzione a chi gravita nel nostro ambito e non solo. Rallentando l’andatura riusciremo a vedere meglio e di più. L’osservazione partecipe porta in superficie componenti non rare dei rapporti con gli altri , lascia affiorare aspetti non secondari del convivere e indubbiamente...ci migliora. r.m.

Il pensiero del giorno - 13 aprile 2008

Se un furetto ti morde é quasi sempre colpa tua.

sabato 12 aprile 2008

Aboliamo la parola oramai, se è rinunciataria !

ORAMAI ! Detesto questa parola che deteriora il cammino già faticoso di chi di strada ne ha già percorsa tanta! Oramai...perché? D’accordo, nel terreno della vecchiaia ci sono insidie ed eventi anche sgradevoli, ma riguardano la salute, non la vecchiaia in sé.

La vecchiaia con la testa a posto dovrebbe abolire la parola “ormai” perché è conclusiva, rinunciataria, negativa. A cosa serve accogliere un nuovo giorno con una premessa che mette al bando la gioia?

Una giornata è un dono, è un arco di tempo che si aggiunge al lungo periodo trascorso, un “di più da vivere”, da sfruttare, da cogliere. Il lungo percorso che ci è stato concesso é stato invece negato a chi che è scomparso prematuramente, a chi vorrebbe essere al nostro posto, perché – quindi – non accoglierlo al meglio e dignitosamente ?

Porta con sé un po’ di problemi, di impicci, di noie, ma chiediamoci anche : “sono superabili?” Dopo di ché rimettiamoci in pista ! So per esperienza diretta che ciò richiede coraggio, so che non è facile e già mi ronzano nelle orecchie le solite amare obiezioni lagnose e negative, alle quali contrappongo sempre la consapevolezza del fatto che funzioniamo con materiale usato e che alcuni cedimenti sono inevitabili.

Quindi, senza pigrizia corriamo ai ripari e armiamoci di pazienza accettando la realtà. Non ci sentiremo più come ci sentivamo a cinquant’ anni però possiamo evitare di elencare i nostri guai - parlandone il meno possibile - provvedendo invece alacremente alla necessaria manutenzione.

Curiamo l’immagine ricordando che “mantenere un aspetto gradevole da giovani è un piacere, da vecchi... un dovere”. Cosa seria, è la solitudine. Spesso si accompagna alla fragilità fisica e alla vulnerabilità interiore, ma finché si è in grado di muoversi, di leggere, di guardare la tivù, di essere autosufficienti non preclude la partecipazione e se è vissuta in autonomia, è già avvantaggiata.

La lagnanza frequente è questa : “I figli si fanno vedere poco!” Ma noi sappiamo che stanno vivendo lo stesso periodo che ha assorbito anche noi alla loro età e che il nostro amore per loro non ha le caratteristche di un investimento, anzi, dovrebbe portare la scritta “a perdere” nel senso che è in concreto, la trasposizione di ciò che abbiamo a nostra volta ricevuto.

E se non è stato così, se non abbiamo ricevuto, se abbiamo sofferto, godiamoci il piacere di risparmiare ai nostri figli le frustrazioni che ci hanno disturbato!
La serenità é una conquista ! E’ un’arte che possiamo apprendere se lo vogliamo fermamente e costantemente, mettendo anzitutto al bando l’odiosa parola “ormai”. Vale la pena di provare. r.m.
Il Giornale – 19 dicembre 2007
Giornale di Brescia 11 dicembre 2007

venerdì 11 aprile 2008

Il pensiero del giorno - 11 aprile 2008

Il cane stava – un giorno – per essere eletto “il più intelligente degli animali”, ma si scoprì che si fidava dell’uomo…e perse la candidatura.

giovedì 10 aprile 2008

Dissertazioni sulla FEDE

L'incontro con la Fede - chiaro sinonimo di amore - é un privilegio. E, come l'amore, credo di averla vagheggiata fin dal primo vagito. Da adolescente chiedevo di essere confessata come gli uomini, esternamente al confessionale per avere una risposta alle mie domande. Ho pregato, mi sono dedicata ad approfondimenti storici che mi hanno frastornata ancora di più. Poi ho accettato la grande verità. incontrare l'amore o abbracciare la fede, non dipenderà mai da elucubrazioni di cervello. Sono prerogative dell’anima, SONO DONI, PRIVILEGI. Detto e constatato ciò mi sono attenuta a regole morali di onestà e rettitudine, anche di disponibilità e sacrificio che offro a Dio e a me stessa nel percorso della vita e che saranno con me al momento del congedo. Ma considerato che mi sento un viandante che vaga senza sapere qual'é la sua meta trascrivo questa breve, intensa poesia :

Quella vecchietta cieca che incontrai
la sera che me persi dentro ar bosco
me disse: “Se la strada nun la sai,
te ciaccompagno io, che la conosco.
Se ciai la forza de venimme appresso,
de tanto in tanto te darò na voce,
fino là in fondo dove c’é un cipresso,
fino là in cima dove c’é na croce.”
Risposi : “Sarà...ma trovo strano,
che me possa guidà chi nun ce vede!”
La cieca me pijò la mano e sospirò :
”Cammina...” Era la Fede !
Trilussa

mercoledì 9 aprile 2008

il pensiero del giorno

Questa è una considerazione della mia mamma :"Il denaro non è importante! Quello che è importante è averlo!" Renata

lunedì 7 aprile 2008

Il concetto di ricchezza.

Mi è stato chiesto "Sapresti parlare della ricchezza!" (:-) !

Ricordo la mia mamma che - con la saggezza imposta dai tempi - identificava la ricchezza con l’autonomia che considerava l’unica vera risorsa. Non mi sento di contestare perché anche questo tipo di ricchezza é appagante, ma essere ricco o sentirsi tale é sostanzialmente differente.

Quindi discorrendo sul tema, devo parlare soprattutto di liquidità, di una vasta disponibilità economica quindi della ricchezza che - vista come traguardo - è positiva nella misura in cui non sia inquinata dall’inciso “a qualunque costo”.

Abbiamo esempi di individui che dal niente hanno raggiunto posizioni economiche di rilievo, ma non esistono soldi facili e quel “niente” è solo apparente perchè presuppone volontà, ingegno, tenacia non comune e una buona dose di fortuna.Per chi parte con queste premesse, perseguire la ricchezza è senz’altro positivo.

Parlando di ricchezza non si può prescindere dal suo utilizzo e distinguere tra uso e spreco. Un vero signore, non spreca; qualche volta lo fa il ricco quando confonde il sembrare con l’essere dimenticando che mentre la prodigalità è meritoria, l’ostentazione è sempre un po’ stupida.Il benessere va assaporato,consapevolmente fruito, non esibito.

L’argomento spazia dall’agiatezza all’opulenza fino ad identificarsi col potere, troppo per una analisi che vuole rimanere nei confini del piacevole conversare!

Preferisco concludere con un sorriso, trascrivendo un concetto che ho già espresso in un diverso contesto. All’ alba dei miei sogni di fanciulla la vera ricchezza morale e materiale, si realizzava con “due cuori e una capanna ” ma, avanti nel tempo, trovo più concretamente appagante il motto “due cuori e...qualche capannone !”(;-))

Ma è incontestabile il fatto che le ristrettezze economiche, le rinunce e i sacrifici (specialmente se protratti nel tempo) sono un duro banco di prova anche per i sentimenti. Il denaro spesso facilita e - anche quando non risolve - aiuta. Tenuto nella giusta considerazione, rispettato e intelligentemente utilizzato é un mezzo, un ottimo mezzo per conseguire un traguardo di serenità. r.m.

Pubblicato sul GIORNALE DI BRESCIA il 10 aprile 2008.
Pubblicato su Bresciaoggi il 13 aprile 2008

L'elogio della pausa

Al significato di pausa viene talvolta attribuita una componente negativa mentre, al contrario, l’interruzione soprattutto mentale dall’ormai convulsa routine, riesce quasi sempre a impregnarsi di positività.

Anche una bella camminata può essere intesa come pausa, ma camminare per raggiungere una meta o impegnarsi per attivare la muscolatura, non ha niente a che vedere con quel delizioso bighellonare che ci permette di posare lo sguardo su particolari, solo apparentemente insignificanti, che ne richiamano altri o lasciano riaffiorare ricordi e sensazioni nelle quali è rasserenante indulgere.

Credo che il concetto di pausa si riveli adescante se -interrompendo un’attività- asseconda un benefico relax fisico e mentale. Ognuno rende positiva la pausa in modo personale, ma deve comunque collocarsi in modo da favorire la rilassante consapevolezza delle sensazioni.

Chiudere gli occhi, riannodare dolcemente fili spezzati rimasti pendenti nel cuore, riappropriarsi di visioni che la mente ha solo archiviato, risentire parole che hanno ferito e percepirle con l’indulgenza che solo la patina del tempo insinua, ritrovare il calore di quell’ apprezzamento inatteso, indulgere nel progettare, consentire ai pensieri di riaffiorare, favorire il torpore, rilassarci fino a trasalire ad un improvviso richiamo alla realtà. Queste sono le componenti imprescindibili della pausa.

Chi è preso dal vortice degli impegni quotidiani dovrebbe riuscire a imporre a se stesso la pausa considerandola anzitutto una necessità. Serve a discostarsi da tutto per vedere il panorama del quotidiano in un’ottica privilegiata. La pausa adempie al compito di ricaricare la mente, il cuore e non deve essere considerata una perdita tempo.

Solo la vita è, tutto sommato, un po’ breve. Il tempo invece…..è infinito.

domenica 6 aprile 2008

Il pensiero del giorno - 6 aprile 2008

Le tegole che ci ripareranno dalla pioggia, vanno poste....quando c'è il sole.

sabato 5 aprile 2008

Ragazzi in piedi, entra il prof.

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Pubblicato da :
IL GIORNALE sabato....... 5 aprile 2008
cesare@lamescolanza.com - 18/04/2008
Giornale di Brescia 17 aprile 200
Brescia Oggi .......... 17 aprile 2008
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Molti ancora ricordano l'esortazione, alla quale si corrispondeva con prontezza, senza farsi domande del tipo “è giusto?” “perché devo farlo” o altro. Si faceva e basta. Ma quel non porsi domande era già di per sé una risposta.

SI FA. PUNTO.

La funzione delle regole è da sempre, quella di stabilire i doverosi segni di rispetto, l’ attribuzione dei ruoli, una giusta distanza fra professore e discepoli.

Poi, via via, ha trovato spazio un corrosivo comportamento nei confronti di chi un ruolo l’aveva già. I genitori hanno cominciato a voler essere “amici” dei propri figli, senza considerare l’arretramento al quale si sottoponevano. Senza riflettere sul fatto che gli amici vanno e vengono e i genitori restano; che gli amici possono essere anche poco sinceri o malevoli mentre i genitori non lo sono mai. Potranno sbagliare ma lo faranno sempre, amandoli.

Poi si è frequentemente introdotto l’uso del tu verso i giovani professori sorvolando sul fatto che ciò non avrebbe certo migliorato né il rapporto né il profitto. Insomma si sono attivati ruoli ibridi che mortificano, nel concreto,le iniziali – più legittime – collocazioni.

Ma ecco una nota consolante fa capolino da più parti. Pare che siano in molti ad auspicare il ritorno di posizioni abbandonate e io credo che – a piccoli passi- si possono forse recuperare valori troppo bruscamente abbandonati, dimostrando che talvolta, tornare indietro aiuta ad andare avanti. r.m.
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Il pensiero del giorno - 5 aprile 2008

L’avvocato è un tale che si adopera affinché tu possa ottenere ciò che gli spetta.

giovedì 3 aprile 2008

Dare un'educazione ai figli

“La frase conclusiva dello sfogo epistolare di un angosciato genitore, ha occupato a lungo i miei pensieri, particolarmente per l’inciso che recita “ nei confronti dei miei figli non so mai se – tenendo le mie posizioni – sbaglio o meno”, frase che proietta un fascio di luce sul panorama, complicatissimo dell’educazione dei figli. In questo terzo millennio pieno di conquiste tecnologiche che ci trova sempre più soli e disarmati di fronte ai problemi quotidiani, piccoli e grandi, che nascono e si sviluppano all’interno delle nostre famiglie, siamo qualche volta noi genitori “ a non sapere che pesci prendere”.

Forse sono le nostre incolpevoli titubanze a rendere insicuri i nostri ragazzi ; forse siamo proprio noi l’anello fragile della catena anche perché è sparita l’omogeneità dei comportamenti. Il giovane di 30/40 anni fa, ovunque guardasse, trovava – se non altro – l’uniformità degli atteggiamenti. La società, la scuola, l’ambiente di lavoro, i genitori stessi erano (fatte salve rare eccezioni) tutti orientati verso l’osservanza, imprescindibile, delle regole che implicavano severità e disciplina. Nelle famiglie i comportamenti erano sostanzialmente omogenei, ripetitivi, monotoni, qualche volta sbagliati ma…saldi e - anche tra mugugni e ribellioni subito sedate- davano sicurezza.

Oggi, mentre io tento di arginare in mio figlio alcune giovanili esigenze che trovo premature, non posso ignorare che i suoi coetanei vivono le stesse situazioni con sbocchi opposti a quelli che ritengo opportuni per l’età, la condizione anche economica, e i principi in atto nel piccolo, grande mondo della mia famiglia. E a complicare il tutto concorrono innumerevoli elementi esterni : io dico no e la televisione dice si anche nelle piccole futili cose : “non toccare il cibo con le mani” dico io e la televisione presenta una scollatissima signora che tuffa un dito fornito di un’unghia smaltata e lunghissima nel morbido gorgonzola, per ficcarselo in bocca con gemiti, sguardi e atteggiamenti più consoni ad un contesto erotico.

Io, agli occhi di mio figlio come ne esco? Cosa faccio? Provo a mediare? Mi schiero rigidamente sul “non si fa” e sentenzio che tutti gli altri sbagliano? E’ vero che noi genitori ci ritroviamo a mettere a nudo le nostre fragilità, ma è altrettanto vero che il mondo intorno a noi – quello che dà più credito al sembrare che all’essere - ci aiuta davvero poco.

La mia generazione era troppo subordinata ai genitori, ma quelle che vivono oggi la pienezza dei loro anni migliori sono certamente, troppo subordinate ai figli. L’equilibrio sembra essere, come spesso accade, meta lontana, ma sforzarsi di raggiungerla sarà senz’altro utile. Ovviamente lo sforzo darà i suoi frutti migliori soltanto se sarà la collettività a perseguirlo.

Con un po’ di amarezza ma, anche, con incrollabile fiducia nel sempre possibile miglioramento che premi i buoni intendimenti, mi accosto idealmente a quei genitori che – consapevoli dei loro limiti – svolgono comunque con l’impegno necessario il loro compito.

E infine io credo e crederò sempre che l’amore e una buona dose di dolce fermezza siano – in molte occasioni – gli elementi di base che sanno dare sicurezza.

Il pensiero del giorno - 3 aprile 2008

Il mònito è conosciuto ma,dicevano già i latini che ripetere giova
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Mi piacerebbe avere:
la forza di accettare le cose che non posso cambiare;
il coraggio di cambiare quelle che posso cambiare;
l’intelligenza per distinguere le une dalle altre.

mercoledì 2 aprile 2008

Rincorrendo il successo !

Se ne parlava tra donne, con leggerezza, mentre si insinuavano battute, punzecchiature, provocazioni…. Di successo si parlava, di quanto appaga, di quanto stritola durante il percorso, di cosa rimane quando l’ombra torna a rinfrescare il cammino.

Ad un tratto si avverte sospesa nell’aria l’amarezza che impregna una frase che giunge lapidaria, nonostante il tono sommesso. A pronunciarla è una giovane moglie che dichiara di non voler partecipare ad una ulteriore, recente ascesa imprenditoriale del marito. “Lo vuoi punire?” chiedo. “Assolutamente no! Lo amo e rispetto anche questa sua scelta, ma questa volta dovrà gestirla da solo. Forse lo ha sempre fatto, ma finora, io ho creduto di offrirgli consapevolmente le mie rinunce di donna.

Adesso so che a queste rinunce lui non è interessato. Non le ha considerate nella parte negativa del bilancio. Anche in questo ultimo caso, non le ha ritenute importanti….non lo coinvolgono…non gli peseranno. Vedere scorrere gli anni, i miei anni, senza di lui che sarà presente nella mia vita e in quella dei suoi figli solo perché io sarò la cronista diligente e fedele degli eventi…non lo rattrista, non è intimamente interessato. Forse, senza saperlo, non ci ama. O ci ama in un modo sbagliato, ingeneroso, marginale.” Parole gravi, incisive, consapevoli, amare.

L’atmosfera è mutata e ognuna di noi è in attesa che il disagio si diradi quando l’ingresso di una nuova, inattesa presenza ci toglie tutte dall’imbarazzo. Ma il pensiero rimane e più tardi, rimasta sola, sento riaffiorare sensazioni soffocate, perplessità non espresse. Rivedo una situazione che aveva tutti i presupposti per una riuscita soddisfacente, una coppia come tante che senza scosse palesi ha contribuito alla costruzione di un solido edificio economico e – apparentemente – anche affettivo. Un uomo stimabile, totalmente impegnato in una carriera giunta ai vertici, inesausto nell’assumersi responsabilità e una moglie e madre di consistente spessore che ha certamente avvertito qualche crepa, formatasi nel corso di vacanze solitarie, di pasti riscaldati in attesa di un rientro che si sposta nel vuoto di serate solitarie.

Colloqui rinviati, baci affrettati, ribellioni soffocate nel silenzio, sacrifici sostenuti in attesa di un traguardo che restituisca spazio a valori più veri. Invece, improvvisa la scoperta: l’assunzione di una nuova responsabilità fuori casa palesa che l’ambizione non prevede traguardi conclusivi, non ci saranno pause per ritrovarsi. Così, mentre l’ingranaggio che sospinge verso il potere continua l’impietoso logorio silenziosamente intrapreso, é esploso il dolore manifestato oggi nelle parole di una splendida moglie… che ha smesso di sperare.

Personalmente mi sento spronata a rivalutare, ancora una volta, il mio convincimento sull’efficacia della pausa. Quella che esorta a ricollocarsi davanti alla scala dei valori per ricordare quali sono veramente prioritari. E’ vero che ognuno stabilisce in proposito una personale graduatoria, ma è altrettanto vero che salute, copia, lavoro, sono – in questo ordine – basilari. Vale la pena di pensarci in tempo per evitare di esercitare, qualche volta inconsapevolmente, la più subdola forma di crudeltà: l’indifferenza. r.m.
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da Passeggiando nella vita ed.2005 -

martedì 1 aprile 2008

Il pensiero del giorno - 1° aprile 2008

Le persone felici, non sempre hanno il meglio di ogni cosa,
ma traggono da ogni cosa il meglio !