sabato 5 luglio 2008

Da "Vaniglia e cioccolato"

Nel febbraio 2006 ho partecipato ad un concorso che si concluse con la pubblicazione di tutti i 400 elaborati. Si trattava di prendere, inalterate, le prime dieci righe di un romanzo a scelta e svolgere un tema conseguente con le caratteristiche di un racconto breve. Indetto “dalle donne del vino” nello svolgimento era d’obbligo parlare della bevanda di Bacco. Ve lo propongo per una lettura che spero si riveli piacevole:
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Da Vaniglia e cioccolato di Sveva Casati Modignani

Caro Andrea, disgrazia della mia vita, ho minacciato tante volta di andarmene e non l’ ho mai fatto. Adesso, me ne vado. Sai quanto sia lenta ma tenace nelle mie decisioni.
In diciott’ anni di matrimonio ho misurato il tuo egoismo, la tua capacità di mentire, le tue paure, il tuo infantilismo. Non voglio sapere come riuscirai a cavartela senza di me, visto che da solo non sei in grado neppure di aprire una lattina di birra.

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Penelope posò la penna, allontanò il foglio e scostò la sedia dalla scrivania. Estese il busto cercando di aderire con la schiena alla spalliera della poltrona e chiuse gli occhi. Sperava così di trovare le parole adatte a trasferire dal cuore al foglio l’intensità della sua sofferenza, ben sapendo che verbalizzare efficacemente l’angoscia sarebbe stato impossibile.

Cominciò con l’ammettere che Andrea aveva adottato l’irritante comportamento passivo che lei frequentemente gli rimproverava, facilitato in parte da lei che - cullandosi , ingenuamente, nella certezza che l’uomo che amava non si sarebbe mai infilato nel ruolo riduttivo del bambinone viziato - l’aveva accudito con la stessa amorevole sollecitudine che aveva in seguito riservato ai figli.

Questa la sua colpa, il suo peccato decisamente veniale, dettato dall’amore, ma Andrea ne aveva abbondantemente approfittato, assestandosi comodamente nel ruolo del sultano, lasciando affiorare imprevedibili, palesi indizi di superficialità e di egoismo.

Lentamente ma inesorabilmente l’amarezza, il dolore e infine la ribellione si erano di conseguenza instaurati nell’animo di Penelope ponendola disarmata di fronte alla deludente realtà dell’universo maschile. Sapeva che la fuga dall’approfondimento contrassegna spesso il comportamento dell’uomo che, ad ogni accenno di bufera si eclissa con un comodo “Passerà!”... ma sapeva anche, ormai, che Andrea non faceva eccezione.

Si era adagiato nelle sue rassicuranti certezze, sottovalutando il problema. Cento, mille volte aveva cercato di porlo davanti alla deludente realtà che connotava ormai costantemente il loro rapporto, ma lui rifiutava caparbiamente di vedere l’amarezza che si era instaurata ormai stabilmente il lei.

Rammentò che, anche durante l’ultima breve trasferta in montagna c’era stato l’ennesimo violento litigio contrassegnato da parole esasperate e graffianti, ma subito dopo Andrea con la consueta superficialità, si era inopportunamente apprestato a sturare una bottiglia con l’intento di ripristinare un’atmosfera almeno superficialmente serena.
Vini di qualità prodotti e invecchiati nella prestigiosa cantina di famiglia (nella quale lei stessa aveva profuso amorevole, entusiastico, proficuo impegno) avevano spesso siglato importanti eventi scanditi nel percorso familiare, ma consentirne l’uso in quella circostanza...le sarebbe sembrata una profanazione.

In quella sera lontana lei, avvilita e amareggiata, gli aveva tolto dalle mani quella stessa bottiglia e l’aveva riposta imponendo con fermezza :”Adesso basta. Torniamo a casa”. La decisione preludeva drastiche conclusioni, ma lui sulla sua nuvoletta personale, sembrò non accorgersene.

Penelope riaprì gli occhi e rilesse le poche righe appena tracciate. Con parole che la dilaniavano cercò di mettere la parola fine ad un rapporto ormai irrecuperabile, ben sapendo che non è facile soffocare l’amore. Non si estingue perché gli si contrappongono valide ragioni per farlo, non é così arrendevole!

Scorgeva davanti a sé un percorso difficile e doloroso ma, non intravedendo alternative, si sentiva ormai risoluta.
Niente lasciava quindi presagire che la totalità del contesto avrebbe potuto invece rimodellarsi proprio con il tramite dell’insperata presa di coscienza di Andrea e del tenacemente radicato amore di entrambi.

Quasi sempre, davanti ad esplicite ribellioni, l’uomo é preda di reazioni improntate allo stupore: “Non credevo che il tuo disagio fosse così profondo....!” oppure “ Pensavo tu fossi nervosa con i ragazzi...! e altre amenità. Fortunatamente, in Andrea – che incredulo e sbigottito si trovò tra le mani la lettera di Penelope – prevalse invece lo sgomento.

Gli sembrò di scoprire proprio in quel momento la profondità dell’amore che nutriva per la sua Pepe e all’idea di perderla si sentì smarrito e vulnerabile. Ebbe immediata la percezione delle difficoltà che avrebbe dovuto affrontare ma, per recuperare l’amore di sua moglie, si sentiva pronto a impegnarsi traendo forza dalle sue stesse inequivocabili emozioni.

Il percorso fu ovviamente lungo, tribolato e sofferto, ma tra altalenanti dubbi e speranze, si concluse poi felicemente sfociando nell’imprevedibile alba nuova, che trovò Penelope supina nel lettone matrimoniale mentre assaporava la tenera percezione del calore del corpo di lui che, permeando le coltri, confluiva verso le sue membra.

Aleggiavano su di lei le sensazioni della sera prima quando erano giunti nel gelido appartamento in montagna, intabarrati e increduli per la gioia del ritrovarsi. Mentre attendevano che il riscaldamento prontamente avviato desse qualche risultato, avevano acceso il grande camino del soggiorno, poi in piedi senza parlare si erano stretti in un intenso, lungo abbraccio.

Ripensò al brivido di freddo e di forte emozione che la scosse e rivide lui che - senza parlare - la sospingeva verso il divano, dove la fece sedere e le pose il caldo plaid sulle ginocchia. La baciò lievemente e si diresse verso l’alta credenza, l’aprì e tornò trionfante verso di lei con la bottiglia tra le mani. “Ti ricordi?” mormorò.

Certo che ricordava ! Ma questa volta sorrise a se stessa, a lui e all’amore che aveva compiuto il miracolo riportandoli - più consapevoli e innamorati – proprio lì dove il colloquio si era interrotto. Lo rivide con gli occhi dell’anima mentre toglieva con calma il tappo alla bottiglia e versava nei tondi bicchieri a stelo, il liquido rosso come il rubino che siglava simbolicamente il loro consapevole ritrovarsi.

Mentre tutto riaffiorava nitido in lei colorando di tenui, adescanti colori il suo risveglio, protese la mano e cercò sotto le coltri quella di lui che l’accolse con subitanea, trepida tenerezza. r.m.
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4 commenti:

Aliza ha detto...

Cara Renata, hai scritto con passione ed è stato un piacere leggerti. Buona domenica A.

salvo ha detto...

Ciao Renata, non lo avevi detto che sei una scrittice, il modo con cui hai raccontato questa dolce storia, dimostra che hai talento e ti faccio i miei complimenti, brava.
Salvo

Renata ha detto...

ALIZA - E' vero, ho scritto con passione e la gioia sta nel fatto che venga accolto con piacere da te, come prima lettrice. Grazie Aliza.
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Sul blog di Silvia dell'Isola ho trovato questo apprezzamento che mi permetto trasferire qui,mentre ringrazio di cuore la grande Silvia:
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Il tuo racconto del pane coi fichi è stupendo. Io lo compero sempre il mistico pane dell'infanzia, anche se non lo mangio.Mi basta guardarlo. E' più forte di me. Ciao baci
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X Silvia = temo che la nostalgia abbia un ruolo nell'apprezzamento del racconto. Chi sa cosa ne pensano i giovani, quelli che non hanno mangiato con gusto il pane,anche stantio, purchè fosse BIANCO.
Per noi il pane con l'uvetta o con i fichi era un lusso da meritare. Ricordi ? Grazie.
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SALVO – Grazie. Mi fa molto piacere la tua condivisione. Buona domenica.

aeo ha detto...

brindo a penelope ed andrea...

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Un abbraccio veloce-veloce, che con 'sto caldo non conviene stare troppo attaccati ;)