giovedì 30 luglio 2015

Amarcord a puntate


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Correva l'anno 2008 e con Trapy, la mia cagnolina,  mi sono inoltrata nel parco cercando di tenere a freno i pensieri che si accavallano e si spintonano per prevalere gli uni sugli altri costringendomi ad un percorso a ritroso. Sono tornata così, ad un mattino di tanti anni fa quando lavoravo al Ministero delle Finanze che si era trasferito a Brescia – da Roma – scalzato via dalle truppe americane e inglesi che conquistavano palmo a palmo la nostra povera terra martoriata. Era il 1943 e c’era la guerra, ma i miei sedici anni mi conferivano una naturale sicurezza non ostante i momenti difficili. Al Ministero ero stata assunta come dattilografa e all’ufficio copie eravamo in dieci, più o meno della stessa età. Il rumore dei tasti di dieci macchine che contemporaneamente battevano i loro tasti era forse fastidioso, ma noi non ce ne accorgevamo. Qualche risatina, qualche allusione su rapporti tra colleghi di altri uffici e la bella incoscienza dell’età erano un provvidenziale aiuto nell’affrontare quei giorni intrisi di dolore, di inevitabili disagi, di ristrettezze e – anche – di fame. Dopo alcuni mesi, fui trasferita all’archivio. Io ero convinta che l’archivio fosse l’ultima tappa delle scartoffie ministeriali; invece scoprii che era anche il loro punto d’arrivo. Lì eravamo in quattro ed ognuna occupava un enorme tavolo. Il nostro compito era quello di protocollare la posta in arrivo e dirottarla ai vari settori di competenza. Il Ministero aveva sede in una bella scuola e di fronte, in una bella villetta a due piani (anch’essa requisita) avevano sede gli Uffici dei più alti Funzionari tra i quali il mio superiore diretto che mi riservava benevoli, paterni sentimenti. Veleggiava verso l’età della pensione, aveva un modo di vestire accurato, capelli bianchi e folti e ammiccanti occhi azzurri. I baffetti rimasti inspiegabilmente biondicci e una dentatura gradevole, completavano l’insieme di questa figura snella e signorile. Vestiva sempre di grigio. Gli sorridevo spesso e lo rispettavo. Il nome di battesimo non l’ho mai saputo. Per me era “il dottor Rosani”.....continua –

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