domenica 29 giugno 2008

Ritorno al passato.

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Tra le mie scartoffie ho trovato questo breve appunto.
Forse - a voi - risulterà insignificante, o forse no.
Lo saprò presto.
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Sono uscita con Trapy,la mia cagnolina, e mi sono inoltrata nel parco cercando di tenere a freno i pensieri che si accavallano e si spintonano per prevalere gli uni sugli altri costringendomi ad un percorso a ritroso.

Sono tornata così, ad un mattino di tanti anni fa quando lavoravo al Ministero delle Finanze che si era trasferito a Brescia – da Roma – scalzato via dalle truppe americane e inglesi che conquistavano palmo a palmo la nostra povera terra martoriata.

Era il 1943 e c’era la guerra, ma i miei sedici anni mi conferivano una naturale sicurezza non ostante i momenti difficili. Al Ministero ero stata assunta come dattilografa e all’ufficio copie eravamo in dieci, più o meno della stessa età.

Il rumore dei tasti di dieci macchine che contemporaneamente battevano i loro tasti era forse fastidioso, ma noi non ce ne accorgevamo.

Qualche risatina, qualche allusione su rapporti tra colleghi di altri uffici e la bella incoscienza dell’età erano un provvidenziale aiuto nell’affrontare quei giorni intrisi di dolore, di inevitabili disagi, di ristrettezze e – anche – di fame.

Dopo alcuni mesi, fui trasferita all’archivio. Io ero convinta che l’archivio fosse l’ultima tappa delle scartoffie ministeriali; invece scoprii che era anche il loro punto d’arrivo. Lì eravamo in quattro ed ognuna occupava un enorme tavolo.

Il nostro compito era quello di protocollare la posta in arrivo e dirottarla ai vari settori di competenza.

Il Ministero aveva sede in una bella scuola e di fronte, in una bella villetta a due piani (anch’essa requisita) avevano sede gli Uffici dei più alti Funzionari tra i quali il mio superiore diretto che mi riservava benevoli, paterni sentimenti.

Veleggiava verso l’età della pensione, aveva un modo di vestire accurato, capelli bianchi e folti e ammiccanti occhi azzurri. I baffetti rimasti inspiegabilmente biondicci e una dentatura gradevole, completavano l’insieme di questa figura snella e signorile. Vestiva sempre di grigio. Gli sorridevo spesso e lo rispettavo. Il nome di battesimo non l’ho mai saputo. Per me era “il dottor Rosani”.

C’era la guerra e quando suonava l’allarme tutti scappavamo per raggiungere una galleria sotto il Castello per trovarvi rifugio. In ognuna di quelle occasioni lui trovava sempre il modo di sussurrarmi : “non ritorni in ufficio al cessato allarme… vada pure a casa”. E io ne approfittavo.

In quello stesso periodo cominciai a trovare, sullla mia scrivania, un minuscolo pacchettino che conteneva tre gianduiotti. Superato lo stupore si faceva strada la gioia e – considerato che l’omaggio era anonimo – io mi sentivo esonerata dall’obbligo di ringraziare e li dividevo, sornionamente felice, con le mie colleghe.

Seppi in seguito che l’omaggio (straordinario per l’epoca) mi veniva in virtù di una cotterella che il Dott.Di Pace si era preso per me. Questo timido dottorino dai capelli rossi e i denti giallognoli era il nipote amatissimo del Dott. Rosani.


All’epoca io ricambiavo con affettuosi sentimenti il ragazzo che sarebbe poi diventato mio marito e il dr. Di Pace era al corrente di ciò ma il suo languido sguardo mi seguiva costantemente nella speranza di un qualsivoglia incoraggiamento.

Anche il dr. Rosani aveva incominciato a perorare la causa del nipote. “Lei è tanto giovane....il suo impegno non può considerarsi definitivo.... la invito a riflettere... ci pensi....anch’io le voglio già bene, mi prometta almeno che valuterà questa possibilità..” E altro ancora. Ma così anche i preziosi gianduiotti persero la loro funzione gratificante.

La storia non ebbe seguito anche perché,proprio nello stesso periodo, fui trasferita alla sezione del Ministero del Tesoro che aveva la sua sede in un’altra zona della città in un signorile, bellissimo e antico palazzo nobiliare con suggestivi affreschi e una struttura d’insieme di notevole fascino, ma ….. mi ritrovai, di nuovo, all’ufficio copie.

Anche qui una decina di ragazze, me compresa, battevano sui tasti per otto ore al giorno fatti salvi gli intervalli imposti dall’ululare delle sirene che ci sollecitavano a lasciare il lavoro per correre nei rifugi.

Erano tempi difficili e quegli anni di guerra portarono in ogni casa lutti e sofferenze di ogni genere. Ma io – se chiudo gli occhi – rivedo i volti di quelle ragazze e colgo, come allora, nei loro occhi l’insopprimibile vitalità che la giovinezza regala, assieme alla fiducia, anzi, alla sicurezza di un avvenire migliore.

Carla, Teresa, Emma, Elena e le altre si sono poi sparpagliate nella vita…e non le ho più riviste ma, per un po’, io rimasi legata a Clara .

Veniva da un paesino a pochi chilometri da Brescia e aveva una grande casa ( una specie di cascinotta) in mezzo alla campagna.

Ricordo un fresco portico che dava sul cortile acciottolato perché, oltre ad un lungo tavolo fiancheggiato da due lunghe panchine, c’era il forno nel quale la mamma di Clara cuoceva il pane bianco che in città non si vedeva da tempo e non mancava mai di offrirmene.

Nel rivivere quelle sensazioni di gioia risento il profumo – indimenticabile – di quel pane appena sfornato, profumo che mai nessuna torta o brioche potrà sostituire nel mio ricordo e nel mio cuore.

Clara era come quel buon pane fresco : sincera e buona e – in quel periodo – era innamorata. Mi faceva leggere i bigliettini che lui le scriveva pregandomi di aiutarla a esprimere al meglio quello che sentiva, cosa che io facevo volentieri conquistandomi una sproporzionata gratitudine.

A guerra finita ci scrivemmo per un po’ e poi senza un fruscio uscì dalla mia vita per ritornarvi ogni tanto nel ricordo sempre dolce e grato che ho di lei. Mi sono spesso ripromessa di rintracciarla ma non l’ho mai fatto, e adesso.....si è fatto tardi!

Tra i miei piedi, un batuffolo che abbaia mi riporta all’attualità, così lontana dai tempi che sono tornati, vividi, alla mente.

Il cielo è azzurro e il sole ridona calore, piacevolmente, anche ai ricordi. r.m.

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4 commenti:

mistral ha detto...

Buongiorno Renata, passa da me c'è un a piccola sorpresa per te.
Ti abbraccio forte

Anonimo ha detto...

...a me piace rimanere in tema, rispetto al post...:-)

...un racconto che ho bevuto in un momento e ho poi riletto con calma...intenso e delicato...dove nulla è forzato...

...sei in gamba...
Arianna

Anonimo ha detto...

Sicuramnte uno scritto meraviglioso..ti ringrazio..ma lascia che sia Eteban ad abbracciarti..con affetto

Renata ha detto...

MISTRAL - Ho messo le ali al mio fedele bastoncino e sono passata da te. Grazie anche da qui.
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ARIANNA - Davvero ! l'hai letto e riletto ? Una vera gioia mi tocca da questa affermazione che sento sincera. Grazie Y buena vida -----------------------------------------
HOLDEN - Sai cosa faccio ? Mi tengo con gioia il tuo apprezzamento e sollecito Esteban
al gradito abbraccio.Buena tarde.
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