venerdì 21 ottobre 2016

muccina

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Sta storia del vezzegggiativo "muccina" da scrivere minuscolo, mi fa sentire ancora vicino il mi babbo che - in un amarcordi di tanti anni fa - descrivo così :
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Lo amavo molto. Non abbiamo parlato molto tra noi, ma lui mi educava assiduamente con la sua silenziosa presenza, con la sua costante operosità, ma il mio era un sentimento contradditorio. Contestavo la sua riservatezza, il fatto che non si aspettasse niente dagli altri, che non si facesse avanti mai...in nessun caso. Tacitamente contestavo la sua rassegnazione, avrei voluto che si ribellasse e non capivo, allora, che lottava quotidianamente per riuscire a tollerare gli insulti del vivere, la poca salute, la routine di un lavoro poco gratificante. Lui affrontava serenamente il mio sguardo indagatore, mi regalava la sua comprensione e sorridendo indulgente mi apostrofava spesso con una frase, apparentemente sconsolata, “Quanto tu sei grulla! Un tu hapisci nulla”.

Mentre le dita scorrono veloci sulla tastiera ecco ... nuovi flash, bagliori, lampi. Mia sorella ed io lasciammo la casa paterna sposandoci e i nostri genitori intrapresero un’attività di forte impegno. Rilevarono in una zona periferica della città una tabaccheria con annesso bar e trattoria con un grande spazio all’aperto corredato di tre piste per il gioco delle bocce. Un lavoro duro, impegnativo per entrambi. Mia madre curava la cucina mentre la tabaccheria e il bar venivano gestiti da entrambi, a turno. L’orario dalle sei a mezzanotte o oltre ma il guadagno era buono e lui, il mi babbo, quando alla sera ritirava il contenuto “del cassetto” che un vecchio detto indica come “santo e benedetto” faceva dell’incasso un oggetto quasi di culto.
Sistemava le banconote separando quelle rotte e sciupate da quelle ben conservate e le suddivideva secondo il valore. Le stendeva bene con le mani che aveva sempre ben curate e poi le stirava veramente con il ferro da stiro tiepido. Poi riparava quelle rotte e le stirava anch’essa. Il mio babbo esprimeva così il rispetto per quel denaro che costava fatica e che gli ricordava i tempi in cui non bastava mai.
E poi...rivivo l’ora del commiato quando, tenendo la mia mano tra le sue, mi ha sussurrato: “Te, tu sei forte figliola e non farai come il tu babbo. Tu ti farai valere e arriverai dove vorrai arrivare. Te, tu lo meriti.” (e con un guizzo d’ironia nello sguardo concluse) “Non so come...ma te..ti ho fatto proprio per benino!”.
Ma oggi che ho molti anni di più di quelli che lui aveva al momento dell’addio so che non sono riuscita ad assomigliargli, anche se ho tentato, ho tentato sempre.
muccina

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