martedì 13 settembre 2011

Ritorno al passato.

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Questa mattina i miei pensieri si accavallano e si spintonano per prevalere gli uni sugli altri e mi riportano a un mattino di tanti anni fa quando lavoravo al Ministero delle Finanze che si era trasferito a Brescia – da Roma – scalzato via dalle truppe americane e inglesi che conquistavano palmo a palmo la nostra povera terra martoriata. Era il 1943  e c’era la guerra, avevo sedici anni e, al Ministero ero stata assunta come dattilografa  e all’ufficio copie eravamo in dieci, più o meno della stessa età. Il rumore dei tasti di  dieci macchine che battevano i loro tasti era forse fastidioso, ma noi non ce ne accorgevamo. Qualche risatina, qualche allusione su rapporti tra colleghi di altri uffici e la bella incoscienza dell’età erano un provvidenziale aiuto nell’affrontare quei giorni intrisi di dolore, di inevitabili disagi, di ristrettezze e – anche – di fame.

A Brescia il Ministero aveva sede in una bella strada alberata  e, più precisamente, in una ex   scuola  elementare.  Di fronte, in una  villetta   a due piani (anch’essa requisita) avevano sede gli Uffici dei più alti Funzionari tra i quali il mio superiore diretto che  mi riservava benevoli,  paterni sentimenti. Veleggiava verso l’età della pensione, aveva un modo di vestire accurato,  capelli bianchi e folti e  ammiccanti occhi azzurri: I baffetti rimasti inspiegabilmente biondicci e un sorriso gradevole, completavano l’insieme di questa figura snella e signorile. Vestiva sempre di grigio.  Il nome di battesimo non l’ho mai saputo. Per me era “il dottor Rosani”.

In quello stesso periodo  cominciai a trovare, sul mio tavolino  un minuscolo pacchettino che conteneva  tre gianduiotti.  Superato lo stupore si faceva strada la gioia e – considerato che l’omaggio era anonimo – io  mi sentivo esonerata dall’obbligo  della gratitudine  e li dividevo felice,  con le mie colleghe. Seppi in seguito che l’omaggio ( straordinario per l’epoca) mi veniva in virtù di una cotterella che il Dott.Di Pace si era preso per me. Questo timido dottorino dai capelli rossi  era il nipote amatissimo del Dott. Rosani    che aveva incominciato a perorare la causa del nipote. “Lei è tanto giovane…io la invito a riflettere… ci pensi …anch’io le voglio già bene…mi prometta almeno che valuterà  questa possibilità..” E altro ancora.

E così anche  gli amatissimi gianduiotti persero la loro funzione gratificante, anche perché - proprio nello stesso periodo fui trasferita alla sezione del Ministero del Tesoro che aveva la sua sede in un’altra zona della città  in un signorile, bellissimo e antico palazzo nobiliare in  con suggestivi affreschi e una struttura d’insieme di notevole fascino, e mi ritrovai, di nuovo,  all’ufficio copie. Anche qui una decina di ragazze, me compresa, battevano sui tasti per otto ore al giorno fatti salvi gli intervalli imposti dall’ululare delle sirene che ci sollecitavano a lasciare il lavoro per correre nei rifugi.

Erano tempi difficili e quegli  anni di  guerra portarono in ogni casa lutti e sofferenze di ogni genere.  Ma io – se chiudo gli occhi – rivedo i volti di quelle ragazze e colgo, come allora, nei loro occhi l’insopprimibile vitalità che la giovinezza regala, assieme alla fiducia, anzi, alla sicurezza di un avvenire migliore. Carla, Teresa, Emma, Elena e le altre si sono poi sparpagliate nella vita…e non le ho più riviste ma, per un po’, io rimasi legata a Clara .

 Veniva da un paesino a pochi chilometri da Brescia e aveva una grande casa ( una specie di cascinotta) in mezzo alla campagna. Ricordo ancora quel portico che dava sul cortile acciottolato dove, oltre ad un lungo tavolo fiancheggiato da due lunghe panchine, c’era il forno nel quale la mamma di Clara cuoceva e sfornava il pane bianco che in città non si vedeva da tempo e  non mancava mai di offrirmene. Nel rivivere quelle sensazioni di gioia risento il profumo – indimenticabile – di quel pane appena sfornato, profumo che mai nessuna torta o dolce manicaretto potrà rimpiazzare nel mio ricordo e nel mio cuore.
 Clara era come quel buon pane fresco : sincera e buona e – in quel periodo – era innamorata: Mi faceva leggere i bigliettini che lui le scriveva e voleva che leggessi quelli con i quali lei rispondeva pregandomi  di aiutarla a esprimere al meglio quello che sentiva, cosa che io facevo volentieri conquistandomi una sproporzionata gratitudine.

A guerra finita ci scrivemmo per un po’ e poi senza un fruscio  uscì dalla. mia vita.  Mi sono spesso ripromessa di  rintracciarla ma non l’ho mai fatto, e improvvisamente…si è fatto tardi!    r.m.     
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6 commenti:

Adriano Maini ha detto...

Sono cose cha capitano! Con il pensiero sono andato soprattutto alle pagine di storia che hai vissuto ...

Renata ha detto...

Periodo interessante e storicamente particolare. Indubbiamente. E in tale contesto, la quotidianità si inseriva quasi timidamente. Buona nanna caro Adriano.

riri ha detto...

..pagine intense, ricordi che non si cancellano, nonostante la bruttura della guerra hai fatto un ritratto quasi gradevole di quel vissuto..
I miei ricordi sono nei racconti e nei palazzi "sgarrubati" che avemmo a Napoli per una decina d'anni..
Un abbraccio a te ed un pensiero speciale per chi non c'è più ed ha lasciato una traccia bella di sè.

Renata ha detto...

Un abbraccio enorme a te RIRI che dimostri di cogliere ciò che è difficile per chi non ha vissuto. Ma tu....sei tu ! Grazie.

flavio ha detto...

Cara Renata, quasi mi sento responsabile di questo tuo ricordare.
Mi hai avvicinato in un modo che non
so valutare: avremmo tanto da rivedere e ricordare. Tu a Brescia
presso il Ministero del Tesoro; io a
Paderno, presso la Direzione Nazionale dell'O.N.D.. Tu dattilografa, io fattorino al primo
lavoro: il tuo ricordo vivo di
personaggi rimasti dentro; io lo
stesso: l'ingegner Caruso, Capo
sezione, e per me sempre presente per gli insegnamenti che ne ho
ricevuti, e maturati dentro di me
man mano che crescevo, e ora più
che mai apprezzo.
Perdona questa intrusione.
Flavio con affetto.

Renata ha detto...

Caro Flavio, non parlare di intrusione per favore. Ho davvero l'impressione che i nostri tempi interessino solo chi li ha condivisi.Noi riviviamo, ma i giovani quando sono gentili ascoltano, ma raramente partecipano. Io ricordo che quando mio padre parlava della sua partecipazione alla guerra 1915/18, noi ragazzi pensavamo "ci risiamo !" Forse è naturale che sia così. Ci penserà la storia a distorcere gli eventi ! Pazienza. Ti auguro una buona giornata. Dai, da anche fresco !