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Sta storia del vezzegggiativo "muccina" da scrivere minuscolo, mi fa
sentire ancora vicino il mi babbo che - in un amarcordi di tanti anni
fa - descrivo così :
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Lo amavo molto. Non abbiamo parlato molto tra noi, ma lui mi educava
assiduamente con la sua silenziosa presenza, con la sua costante
operosità, ma il mio era un sentimento contradditorio. Contestavo la sua
riservatezza, il fatto che non si aspettasse niente dagli altri, che
non si facesse avanti mai...in nessun caso. Tacitamente contestavo la
sua rassegnazione, avrei voluto che si ribellasse e non capivo, allora,
che lottava quotidianamente per riuscire a tollerare gli insulti del
vivere, la poca salute, la routine di un lavoro poco gratificante. Lui
affrontava serenamente il mio sguardo indagatore, mi regalava la sua
comprensione e sorridendo indulgente mi apostrofava spesso con una
frase, apparentemente sconsolata, “Quanto tu sei grulla! Un tu hapisci
nulla”.
Mentre le dita
scorrono veloci sulla tastiera ecco ... nuovi flash, bagliori, lampi.
Mia sorella ed io lasciammo la casa paterna sposandoci e i nostri
genitori intrapresero un’attività di forte impegno. Rilevarono in una
zona periferica della città una tabaccheria con annesso bar e trattoria
con un grande spazio all’aperto corredato di tre piste per il gioco
delle bocce. Un lavoro duro, impegnativo per entrambi. Mia madre curava
la cucina mentre la tabaccheria e il bar venivano gestiti da entrambi, a
turno. L’orario dalle sei a mezzanotte o oltre ma il guadagno era buono
e lui, il mi babbo, quando alla sera ritirava il contenuto “del
cassetto” che un vecchio detto indica come “santo e benedetto” faceva
dell’incasso un oggetto quasi di culto.
Sistemava le banconote
separando quelle rotte e sciupate da quelle ben conservate e le
suddivideva secondo il valore. Le stendeva bene con le mani che aveva
sempre ben curate e poi le stirava veramente con il ferro da stiro
tiepido. Poi riparava quelle rotte e le stirava anch’essa. Il mio babbo
esprimeva così il rispetto per quel denaro che costava fatica e che gli
ricordava i tempi in cui non bastava mai.
E poi...rivivo l’ora
del commiato quando, tenendo la mia mano tra le sue, mi ha sussurrato:
“Te, tu sei forte figliola e non farai come il tu babbo. Tu ti farai
valere e arriverai dove vorrai arrivare. Te, tu lo meriti.” (e con un
guizzo d’ironia nello sguardo concluse) “Non so come...ma te..ti ho
fatto proprio per benino!”.
Ma oggi che ho molti anni di più di
quelli che lui aveva al momento dell’addio so che non sono riuscita ad
assomigliargli, anche se ho tentato, ho tentato sempre.
muccina
venerdì 21 ottobre 2016
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