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La persona malcontenta,
non troverà mai una sedia comoda !
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lunedì 30 giugno 2008
domenica 29 giugno 2008
Ritorno al passato.
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Tra le mie scartoffie ho trovato questo breve appunto.
Forse - a voi - risulterà insignificante, o forse no.
Lo saprò presto.
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Sono uscita con Trapy,la mia cagnolina, e mi sono inoltrata nel parco cercando di tenere a freno i pensieri che si accavallano e si spintonano per prevalere gli uni sugli altri costringendomi ad un percorso a ritroso.
Sono tornata così, ad un mattino di tanti anni fa quando lavoravo al Ministero delle Finanze che si era trasferito a Brescia – da Roma – scalzato via dalle truppe americane e inglesi che conquistavano palmo a palmo la nostra povera terra martoriata.
Era il 1943 e c’era la guerra, ma i miei sedici anni mi conferivano una naturale sicurezza non ostante i momenti difficili. Al Ministero ero stata assunta come dattilografa e all’ufficio copie eravamo in dieci, più o meno della stessa età.
Il rumore dei tasti di dieci macchine che contemporaneamente battevano i loro tasti era forse fastidioso, ma noi non ce ne accorgevamo.
Qualche risatina, qualche allusione su rapporti tra colleghi di altri uffici e la bella incoscienza dell’età erano un provvidenziale aiuto nell’affrontare quei giorni intrisi di dolore, di inevitabili disagi, di ristrettezze e – anche – di fame.
Dopo alcuni mesi, fui trasferita all’archivio. Io ero convinta che l’archivio fosse l’ultima tappa delle scartoffie ministeriali; invece scoprii che era anche il loro punto d’arrivo. Lì eravamo in quattro ed ognuna occupava un enorme tavolo.
Il nostro compito era quello di protocollare la posta in arrivo e dirottarla ai vari settori di competenza.
Il Ministero aveva sede in una bella scuola e di fronte, in una bella villetta a due piani (anch’essa requisita) avevano sede gli Uffici dei più alti Funzionari tra i quali il mio superiore diretto che mi riservava benevoli, paterni sentimenti.
Veleggiava verso l’età della pensione, aveva un modo di vestire accurato, capelli bianchi e folti e ammiccanti occhi azzurri. I baffetti rimasti inspiegabilmente biondicci e una dentatura gradevole, completavano l’insieme di questa figura snella e signorile. Vestiva sempre di grigio. Gli sorridevo spesso e lo rispettavo. Il nome di battesimo non l’ho mai saputo. Per me era “il dottor Rosani”.
C’era la guerra e quando suonava l’allarme tutti scappavamo per raggiungere una galleria sotto il Castello per trovarvi rifugio. In ognuna di quelle occasioni lui trovava sempre il modo di sussurrarmi : “non ritorni in ufficio al cessato allarme… vada pure a casa”. E io ne approfittavo.
In quello stesso periodo cominciai a trovare, sullla mia scrivania, un minuscolo pacchettino che conteneva tre gianduiotti. Superato lo stupore si faceva strada la gioia e – considerato che l’omaggio era anonimo – io mi sentivo esonerata dall’obbligo di ringraziare e li dividevo, sornionamente felice, con le mie colleghe.
Seppi in seguito che l’omaggio (straordinario per l’epoca) mi veniva in virtù di una cotterella che il Dott.Di Pace si era preso per me. Questo timido dottorino dai capelli rossi e i denti giallognoli era il nipote amatissimo del Dott. Rosani.
All’epoca io ricambiavo con affettuosi sentimenti il ragazzo che sarebbe poi diventato mio marito e il dr. Di Pace era al corrente di ciò ma il suo languido sguardo mi seguiva costantemente nella speranza di un qualsivoglia incoraggiamento.
Anche il dr. Rosani aveva incominciato a perorare la causa del nipote. “Lei è tanto giovane....il suo impegno non può considerarsi definitivo.... la invito a riflettere... ci pensi....anch’io le voglio già bene, mi prometta almeno che valuterà questa possibilità..” E altro ancora. Ma così anche i preziosi gianduiotti persero la loro funzione gratificante.
La storia non ebbe seguito anche perché,proprio nello stesso periodo, fui trasferita alla sezione del Ministero del Tesoro che aveva la sua sede in un’altra zona della città in un signorile, bellissimo e antico palazzo nobiliare con suggestivi affreschi e una struttura d’insieme di notevole fascino, ma ….. mi ritrovai, di nuovo, all’ufficio copie.
Anche qui una decina di ragazze, me compresa, battevano sui tasti per otto ore al giorno fatti salvi gli intervalli imposti dall’ululare delle sirene che ci sollecitavano a lasciare il lavoro per correre nei rifugi.
Erano tempi difficili e quegli anni di guerra portarono in ogni casa lutti e sofferenze di ogni genere. Ma io – se chiudo gli occhi – rivedo i volti di quelle ragazze e colgo, come allora, nei loro occhi l’insopprimibile vitalità che la giovinezza regala, assieme alla fiducia, anzi, alla sicurezza di un avvenire migliore.
Carla, Teresa, Emma, Elena e le altre si sono poi sparpagliate nella vita…e non le ho più riviste ma, per un po’, io rimasi legata a Clara .
Veniva da un paesino a pochi chilometri da Brescia e aveva una grande casa ( una specie di cascinotta) in mezzo alla campagna.
Ricordo un fresco portico che dava sul cortile acciottolato perché, oltre ad un lungo tavolo fiancheggiato da due lunghe panchine, c’era il forno nel quale la mamma di Clara cuoceva il pane bianco che in città non si vedeva da tempo e non mancava mai di offrirmene.
Nel rivivere quelle sensazioni di gioia risento il profumo – indimenticabile – di quel pane appena sfornato, profumo che mai nessuna torta o brioche potrà sostituire nel mio ricordo e nel mio cuore.
Clara era come quel buon pane fresco : sincera e buona e – in quel periodo – era innamorata. Mi faceva leggere i bigliettini che lui le scriveva pregandomi di aiutarla a esprimere al meglio quello che sentiva, cosa che io facevo volentieri conquistandomi una sproporzionata gratitudine.
A guerra finita ci scrivemmo per un po’ e poi senza un fruscio uscì dalla mia vita per ritornarvi ogni tanto nel ricordo sempre dolce e grato che ho di lei. Mi sono spesso ripromessa di rintracciarla ma non l’ho mai fatto, e adesso.....si è fatto tardi!
Tra i miei piedi, un batuffolo che abbaia mi riporta all’attualità, così lontana dai tempi che sono tornati, vividi, alla mente.
Il cielo è azzurro e il sole ridona calore, piacevolmente, anche ai ricordi. r.m.
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Tra le mie scartoffie ho trovato questo breve appunto.
Forse - a voi - risulterà insignificante, o forse no.
Lo saprò presto.
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Sono uscita con Trapy,la mia cagnolina, e mi sono inoltrata nel parco cercando di tenere a freno i pensieri che si accavallano e si spintonano per prevalere gli uni sugli altri costringendomi ad un percorso a ritroso.
Sono tornata così, ad un mattino di tanti anni fa quando lavoravo al Ministero delle Finanze che si era trasferito a Brescia – da Roma – scalzato via dalle truppe americane e inglesi che conquistavano palmo a palmo la nostra povera terra martoriata.
Era il 1943 e c’era la guerra, ma i miei sedici anni mi conferivano una naturale sicurezza non ostante i momenti difficili. Al Ministero ero stata assunta come dattilografa e all’ufficio copie eravamo in dieci, più o meno della stessa età.
Il rumore dei tasti di dieci macchine che contemporaneamente battevano i loro tasti era forse fastidioso, ma noi non ce ne accorgevamo.
Qualche risatina, qualche allusione su rapporti tra colleghi di altri uffici e la bella incoscienza dell’età erano un provvidenziale aiuto nell’affrontare quei giorni intrisi di dolore, di inevitabili disagi, di ristrettezze e – anche – di fame.
Dopo alcuni mesi, fui trasferita all’archivio. Io ero convinta che l’archivio fosse l’ultima tappa delle scartoffie ministeriali; invece scoprii che era anche il loro punto d’arrivo. Lì eravamo in quattro ed ognuna occupava un enorme tavolo.
Il nostro compito era quello di protocollare la posta in arrivo e dirottarla ai vari settori di competenza.
Il Ministero aveva sede in una bella scuola e di fronte, in una bella villetta a due piani (anch’essa requisita) avevano sede gli Uffici dei più alti Funzionari tra i quali il mio superiore diretto che mi riservava benevoli, paterni sentimenti.
Veleggiava verso l’età della pensione, aveva un modo di vestire accurato, capelli bianchi e folti e ammiccanti occhi azzurri. I baffetti rimasti inspiegabilmente biondicci e una dentatura gradevole, completavano l’insieme di questa figura snella e signorile. Vestiva sempre di grigio. Gli sorridevo spesso e lo rispettavo. Il nome di battesimo non l’ho mai saputo. Per me era “il dottor Rosani”.
C’era la guerra e quando suonava l’allarme tutti scappavamo per raggiungere una galleria sotto il Castello per trovarvi rifugio. In ognuna di quelle occasioni lui trovava sempre il modo di sussurrarmi : “non ritorni in ufficio al cessato allarme… vada pure a casa”. E io ne approfittavo.
In quello stesso periodo cominciai a trovare, sullla mia scrivania, un minuscolo pacchettino che conteneva tre gianduiotti. Superato lo stupore si faceva strada la gioia e – considerato che l’omaggio era anonimo – io mi sentivo esonerata dall’obbligo di ringraziare e li dividevo, sornionamente felice, con le mie colleghe.
Seppi in seguito che l’omaggio (straordinario per l’epoca) mi veniva in virtù di una cotterella che il Dott.Di Pace si era preso per me. Questo timido dottorino dai capelli rossi e i denti giallognoli era il nipote amatissimo del Dott. Rosani.
All’epoca io ricambiavo con affettuosi sentimenti il ragazzo che sarebbe poi diventato mio marito e il dr. Di Pace era al corrente di ciò ma il suo languido sguardo mi seguiva costantemente nella speranza di un qualsivoglia incoraggiamento.
Anche il dr. Rosani aveva incominciato a perorare la causa del nipote. “Lei è tanto giovane....il suo impegno non può considerarsi definitivo.... la invito a riflettere... ci pensi....anch’io le voglio già bene, mi prometta almeno che valuterà questa possibilità..” E altro ancora. Ma così anche i preziosi gianduiotti persero la loro funzione gratificante.
La storia non ebbe seguito anche perché,proprio nello stesso periodo, fui trasferita alla sezione del Ministero del Tesoro che aveva la sua sede in un’altra zona della città in un signorile, bellissimo e antico palazzo nobiliare con suggestivi affreschi e una struttura d’insieme di notevole fascino, ma ….. mi ritrovai, di nuovo, all’ufficio copie.
Anche qui una decina di ragazze, me compresa, battevano sui tasti per otto ore al giorno fatti salvi gli intervalli imposti dall’ululare delle sirene che ci sollecitavano a lasciare il lavoro per correre nei rifugi.
Erano tempi difficili e quegli anni di guerra portarono in ogni casa lutti e sofferenze di ogni genere. Ma io – se chiudo gli occhi – rivedo i volti di quelle ragazze e colgo, come allora, nei loro occhi l’insopprimibile vitalità che la giovinezza regala, assieme alla fiducia, anzi, alla sicurezza di un avvenire migliore.
Carla, Teresa, Emma, Elena e le altre si sono poi sparpagliate nella vita…e non le ho più riviste ma, per un po’, io rimasi legata a Clara .
Veniva da un paesino a pochi chilometri da Brescia e aveva una grande casa ( una specie di cascinotta) in mezzo alla campagna.
Ricordo un fresco portico che dava sul cortile acciottolato perché, oltre ad un lungo tavolo fiancheggiato da due lunghe panchine, c’era il forno nel quale la mamma di Clara cuoceva il pane bianco che in città non si vedeva da tempo e non mancava mai di offrirmene.
Nel rivivere quelle sensazioni di gioia risento il profumo – indimenticabile – di quel pane appena sfornato, profumo che mai nessuna torta o brioche potrà sostituire nel mio ricordo e nel mio cuore.
Clara era come quel buon pane fresco : sincera e buona e – in quel periodo – era innamorata. Mi faceva leggere i bigliettini che lui le scriveva pregandomi di aiutarla a esprimere al meglio quello che sentiva, cosa che io facevo volentieri conquistandomi una sproporzionata gratitudine.
A guerra finita ci scrivemmo per un po’ e poi senza un fruscio uscì dalla mia vita per ritornarvi ogni tanto nel ricordo sempre dolce e grato che ho di lei. Mi sono spesso ripromessa di rintracciarla ma non l’ho mai fatto, e adesso.....si è fatto tardi!
Tra i miei piedi, un batuffolo che abbaia mi riporta all’attualità, così lontana dai tempi che sono tornati, vividi, alla mente.
Il cielo è azzurro e il sole ridona calore, piacevolmente, anche ai ricordi. r.m.
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sabato 28 giugno 2008
Non aspettare !
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Non aspettare un sorriso,
per essere gentile.
Non aspettare di essere amato,
per offrire amore.
Non aspettare di restare solo,
per capire cosa vale un amico
Non aspettare l’impiego migliore,
per iniziare a lavorare.
Non aspettare di avere molto,
per cominciare a condividere.
Non aspettare la richiesta,
per porgere il tuo aiuto.
Non aspettare d'essere in rovina,
per chiedere consiglio.
Non aspettare l'arrivo del dolore,
per ricordarti della preghiera.
Non aspettare di avere tempo,
per cercare di renderti utile.
Non aspettare di procurar dolore,
per correre ai ripari e scusarti.
Non aspettare l’esasperazione,
per tentare la riconciliazione
Non aspettare, non rimandare.
Tu non sai...quanto tempo hai !
anonimo
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Non aspettare un sorriso,
per essere gentile.
Non aspettare di essere amato,
per offrire amore.
Non aspettare di restare solo,
per capire cosa vale un amico
Non aspettare l’impiego migliore,
per iniziare a lavorare.
Non aspettare di avere molto,
per cominciare a condividere.
Non aspettare la richiesta,
per porgere il tuo aiuto.
Non aspettare d'essere in rovina,
per chiedere consiglio.
Non aspettare l'arrivo del dolore,
per ricordarti della preghiera.
Non aspettare di avere tempo,
per cercare di renderti utile.
Non aspettare di procurar dolore,
per correre ai ripari e scusarti.
Non aspettare l’esasperazione,
per tentare la riconciliazione
Non aspettare, non rimandare.
Tu non sai...quanto tempo hai !
anonimo
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venerdì 27 giugno 2008
Pensiero del giorno - La gioia dello scrittore.
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Per lo scrittore la vera felicità consiste
nel riuscire a trasferire i sentimenti
al pensiero e il pensiero alle parole.
Thomas Mann scrittore 1875-1955 da La morte a Venezia
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Per lo scrittore la vera felicità consiste
nel riuscire a trasferire i sentimenti
al pensiero e il pensiero alle parole.
Thomas Mann scrittore 1875-1955 da La morte a Venezia
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giovedì 26 giugno 2008
Le news su “Gente sradicata e sola”
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L'argomento "immigrazione" ha trovato - com'era prevedibile - riscontri diversificati. A riprova di ciò trascrivo l'intervento di un lettore e la mia replica.
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Giornale di Brescia 18 agosto 2006
La lettera pubblicata dalla Signora Renata Mucci. Osservatrice attenta e sensibile di varie situazioni vissute da “gente sradicata e sola” quasi, quasi mi ha commosso.
Trattasi indubbiamente di una bella lettera analitica che potrebbe diventare un’autentica premessa poetica,se la gentile signora precisasse ai lettori, dove mai finiranno i capelli tagliati dall’improvvisato barbiere. In piedi (mai visto un barbiere nella sua attivitò in altra posizione).
Dove finiranno le ciocche di tutta la “clientela” in attesa sul muretto.
Forse, alle spalle dei “clienti” ci sarà un adeguato contenitore, oppure solo la stentata distesa di verde, oppure cemento o asfalto che si auto puliscono con le prime folate pre-temporalesche che disperderanno le chiome da qualche parte nel pubblico giardino?
Molte volte anch’io, dopo aver visitato qualche parco cittadino rientro nella mia casa, disgustato e...un po’ triste ! E.M. Brescia
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La mia risposta :
Ha ragione, signor E.M.! Motivi di tristezza sono continuamente sotto i nostri occhi.
Io – per esempio – mi indigno (più che rattristarmi) quando vedo eleganti professionisti che vuotano i loro stracolmi posacenere, versandone il contenuto sull’asfalto, magari mentre sono fermi al semaforo con la loro vettura, con la spavalderia del furbacchione..
La mia diversa reazione davanti a due comportamenti, entrambi poco rispettosi del pubblico suolo, é dovuta ad una considerazione che avrebbe dovuto risultare evidente anche a lei (così pronto a fare dell’ironia sul fatto che l’occasionale barbiere lavorasse in piedi!).
Le sembrerà strano – ma il mio sguardo è molto più benevolo verso chi non ha soluzioni alternative, rispetto a chi avrebbe dovuto far sua un’educazione di facile apprendimento.
L'argomento "immigrazione" ha trovato - com'era prevedibile - riscontri diversificati. A riprova di ciò trascrivo l'intervento di un lettore e la mia replica.
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Giornale di Brescia 18 agosto 2006
La lettera pubblicata dalla Signora Renata Mucci. Osservatrice attenta e sensibile di varie situazioni vissute da “gente sradicata e sola” quasi, quasi mi ha commosso.
Trattasi indubbiamente di una bella lettera analitica che potrebbe diventare un’autentica premessa poetica,se la gentile signora precisasse ai lettori, dove mai finiranno i capelli tagliati dall’improvvisato barbiere. In piedi (mai visto un barbiere nella sua attivitò in altra posizione).
Dove finiranno le ciocche di tutta la “clientela” in attesa sul muretto.
Forse, alle spalle dei “clienti” ci sarà un adeguato contenitore, oppure solo la stentata distesa di verde, oppure cemento o asfalto che si auto puliscono con le prime folate pre-temporalesche che disperderanno le chiome da qualche parte nel pubblico giardino?
Molte volte anch’io, dopo aver visitato qualche parco cittadino rientro nella mia casa, disgustato e...un po’ triste ! E.M. Brescia
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La mia risposta :
Ha ragione, signor E.M.! Motivi di tristezza sono continuamente sotto i nostri occhi.
Io – per esempio – mi indigno (più che rattristarmi) quando vedo eleganti professionisti che vuotano i loro stracolmi posacenere, versandone il contenuto sull’asfalto, magari mentre sono fermi al semaforo con la loro vettura, con la spavalderia del furbacchione..
La mia diversa reazione davanti a due comportamenti, entrambi poco rispettosi del pubblico suolo, é dovuta ad una considerazione che avrebbe dovuto risultare evidente anche a lei (così pronto a fare dell’ironia sul fatto che l’occasionale barbiere lavorasse in piedi!).
Le sembrerà strano – ma il mio sguardo è molto più benevolo verso chi non ha soluzioni alternative, rispetto a chi avrebbe dovuto far sua un’educazione di facile apprendimento.
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mercoledì 25 giugno 2008
L'arma più subdola : l'indifferenza.
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Il peggior peccato verso i nostri simili, non è l'odio,
ma l'indifferenza. Quella è l'essenza della disumanità!
( B. Shaw)
Il peggior peccato verso i nostri simili, non è l'odio,
ma l'indifferenza. Quella è l'essenza della disumanità!
( B. Shaw)
Immigrazione. Scontro tra diverse culture.
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Alla lettrice che a mezzo e mail ha voluto precisare che la mia riflessione riferita a "Gente sradicata e sola" è collocabile nell’area del buonismo, ho risposto che mi gratifica il fatto di essere in buona compagnia. Questa, infatti, é l’ottica che ha ispirato Giuseppe Giusti quando – nell’ode “Sant’Ambrogio”- riferendosi ai tedeschi (che, all’epoca, avevano invaso la nostra Patria, con bellicosi intenti) li collocava tra “povera gente, lontana dai suoi, in un Paese qui che gli vuol male” costringendosi a raddrizzare il tiro della sua viscerale avversione.
Sarebbe troppo semplice poter distinguere il bene e il male con il tramite del colore della pelle o dell’appartenenza geografica, ma non é così ed é doveroso ricordare che anche noi (in quanto emigranti) abbiamo esportato genialità, tenacia e abnegazione assieme a tanta innegabile criminalità. E attualmente, pur vivendo nell’opulento occidente, non siamo esenti da deprecabili inquinamenti. Quanti nostri giovani eleganti, ben allevati e altrettanto bene istruiti deviano spavaldamente dalla via dei comportamenti corretti?
E quanti invece, tra i nostri ragazzi, meritano un grato riconoscimento perché praticano quotidianamente l’altruismo e operano nella normalità con dignitoso impegno? Pertanto non generalizzare è doveroso sempre. Quella che avevo inteso illustrare nel mio precedente intervento, altro non é che l’altra faccia di un difficile problema (ormai irreversibile) che forse poteva essere arginato quando si é affacciato nella sua fase embrionale, ma che adesso deve essere affrontato con proficuo e intelligente impegno.
E’ anche doveroso ricordare che Hina, la ventenne pakistana assassinata dal padre, attesta l’insopprimibile desiderio di integrazione delle nuove generazioni che vivono in prima persona il tormentato scontro tra le diverse culture. Auguriamoci che il suo sacrificio ci sproni ad aiutare davvero i giovani, di qualsiasi estrazione, a transitare in modo meno tribolato verso un futuro più equilibrato. r.m.
Alla lettrice che a mezzo e mail ha voluto precisare che la mia riflessione riferita a "Gente sradicata e sola" è collocabile nell’area del buonismo, ho risposto che mi gratifica il fatto di essere in buona compagnia. Questa, infatti, é l’ottica che ha ispirato Giuseppe Giusti quando – nell’ode “Sant’Ambrogio”- riferendosi ai tedeschi (che, all’epoca, avevano invaso la nostra Patria, con bellicosi intenti) li collocava tra “povera gente, lontana dai suoi, in un Paese qui che gli vuol male” costringendosi a raddrizzare il tiro della sua viscerale avversione.
Sarebbe troppo semplice poter distinguere il bene e il male con il tramite del colore della pelle o dell’appartenenza geografica, ma non é così ed é doveroso ricordare che anche noi (in quanto emigranti) abbiamo esportato genialità, tenacia e abnegazione assieme a tanta innegabile criminalità. E attualmente, pur vivendo nell’opulento occidente, non siamo esenti da deprecabili inquinamenti. Quanti nostri giovani eleganti, ben allevati e altrettanto bene istruiti deviano spavaldamente dalla via dei comportamenti corretti?
E quanti invece, tra i nostri ragazzi, meritano un grato riconoscimento perché praticano quotidianamente l’altruismo e operano nella normalità con dignitoso impegno? Pertanto non generalizzare è doveroso sempre. Quella che avevo inteso illustrare nel mio precedente intervento, altro non é che l’altra faccia di un difficile problema (ormai irreversibile) che forse poteva essere arginato quando si é affacciato nella sua fase embrionale, ma che adesso deve essere affrontato con proficuo e intelligente impegno.
E’ anche doveroso ricordare che Hina, la ventenne pakistana assassinata dal padre, attesta l’insopprimibile desiderio di integrazione delle nuove generazioni che vivono in prima persona il tormentato scontro tra le diverse culture. Auguriamoci che il suo sacrificio ci sproni ad aiutare davvero i giovani, di qualsiasi estrazione, a transitare in modo meno tribolato verso un futuro più equilibrato. r.m.
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lunedì 23 giugno 2008
Gente sradicata e sola
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In uno di questi pomeriggi decisamente estivi, mentre passeggio in un bel parco cittadino,osservando persone e cose, mi sento anch’io parte di un virtuale affresco. Vorrei saper dipingere, per fissare sulla tela vialetti, colori e sensazioni.
Tenterò di dipingere con le parole !
All’ombra di un pino marittimo occupano una panchina due donne sui trent’anni. Capelli e occhi chiari, indossano entrambe tailleurs decorosamente demodé, scarpe scollate e lucidissime. Tra loro un foglio di carta (tipo il singolo delle pizzerie) sul quale è appoggiata una piccola torta quadrata, due bicchieri di carta e due bibite in lattina.
Una di loro porge all’altra – lentamente, una alla volta – alcune fotografie commentando in una lingua che mi pare slava. Sorridono con le labbra, ma i loro occhi sono umidi e lucidi.
Ad un tratto, una bimba di tre/quattro anni, con tante treccioline scure, occhi nerissimi e vivaci arriva correndo e si blocca davanti alla torta ancora intatta.
Sosta fissando il dolce posato sulla panchina, ma perentoriamente una voce d’uomo la chiama “Amin!”. La bimba si gira repentinamente, lo raggiunge e affida la sua manina scura in quella nera di lui e assieme si allontanano, seguiti dallo sguardo sorridente delle due donne.
Poco distante alcune persone di colore conversano ad alta voce in una lingua incomprensibile, intervallando con gioiose risate complici – apparentemente – serene.
In uno spazio verde - adiacente - alcuni ragazzi, vestiti di tela chiara, con pantaloni coperti dalla lunga camicia che ricade morbidamente fino oltre il ginocchio, giocano con un pallone.
I loro capelli, nerissimi, luccicano sotto il sole. Hanno la pelle bruna e denti bianchissimi, si muovono velocemente, agili e snelli. Sorridono spesso, scambiandosi alcune frasi in una lingua che ha scatti velocissimi, senza pause.
In un altro spazio a lato delle verdi aiuole, un barbiere improvvisato, in piedi dietro la spalliera di una sedia sgangherata – occupata da un giovane sui vent’anni -taglia, con disinvolta sicurezza, i capelli al giovane mentre, seduti in fila su di un muretto laterale sette o otto altri uomini attendono, parlottando con tranquillità, il loro turno.
Sotto il tepido sole continuo la mia passeggiata e osservo questa gente, sradicata dalla terra d’origine, smembrata negli affetti, che cerca di inserirsi in um mondo diverso, sconosciuto che li osserva con stupore e innegabile, latente ostilità.
Sono tra noi, ma non sono con noi e avverto – quasi palpabile – il loro isolamento. Lo percepisco in quel loro raggrupparsi nell’intento di affrontare più agevolmente il disagio, la diffidenza, la discriminazione.
Sono presa intensamente da sensazioni che mettono in risalto i privilegi che la mia vita, mi ha riservato. So che la mia confortevole casa mi aspetta, che l’apporto degli affetti è costante, e che chiedere di più - o anche soltanto non prenderne atto - è quasi immorale.
Però, la sensazione dell’assenza di merito per i benefici e per i vantaggi aleggia nel mio intimo, alimentando pensieri più partecipi per quelle esistense tribolate che gravitano intorno a noi.
Mi sento più consapevole e – improvvisamente – più triste. r.m.
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In uno di questi pomeriggi decisamente estivi, mentre passeggio in un bel parco cittadino,osservando persone e cose, mi sento anch’io parte di un virtuale affresco. Vorrei saper dipingere, per fissare sulla tela vialetti, colori e sensazioni.
Tenterò di dipingere con le parole !
All’ombra di un pino marittimo occupano una panchina due donne sui trent’anni. Capelli e occhi chiari, indossano entrambe tailleurs decorosamente demodé, scarpe scollate e lucidissime. Tra loro un foglio di carta (tipo il singolo delle pizzerie) sul quale è appoggiata una piccola torta quadrata, due bicchieri di carta e due bibite in lattina.
Una di loro porge all’altra – lentamente, una alla volta – alcune fotografie commentando in una lingua che mi pare slava. Sorridono con le labbra, ma i loro occhi sono umidi e lucidi.
Ad un tratto, una bimba di tre/quattro anni, con tante treccioline scure, occhi nerissimi e vivaci arriva correndo e si blocca davanti alla torta ancora intatta.
Sosta fissando il dolce posato sulla panchina, ma perentoriamente una voce d’uomo la chiama “Amin!”. La bimba si gira repentinamente, lo raggiunge e affida la sua manina scura in quella nera di lui e assieme si allontanano, seguiti dallo sguardo sorridente delle due donne.
Poco distante alcune persone di colore conversano ad alta voce in una lingua incomprensibile, intervallando con gioiose risate complici – apparentemente – serene.
In uno spazio verde - adiacente - alcuni ragazzi, vestiti di tela chiara, con pantaloni coperti dalla lunga camicia che ricade morbidamente fino oltre il ginocchio, giocano con un pallone.
I loro capelli, nerissimi, luccicano sotto il sole. Hanno la pelle bruna e denti bianchissimi, si muovono velocemente, agili e snelli. Sorridono spesso, scambiandosi alcune frasi in una lingua che ha scatti velocissimi, senza pause.
In un altro spazio a lato delle verdi aiuole, un barbiere improvvisato, in piedi dietro la spalliera di una sedia sgangherata – occupata da un giovane sui vent’anni -taglia, con disinvolta sicurezza, i capelli al giovane mentre, seduti in fila su di un muretto laterale sette o otto altri uomini attendono, parlottando con tranquillità, il loro turno.
Sotto il tepido sole continuo la mia passeggiata e osservo questa gente, sradicata dalla terra d’origine, smembrata negli affetti, che cerca di inserirsi in um mondo diverso, sconosciuto che li osserva con stupore e innegabile, latente ostilità.
Sono tra noi, ma non sono con noi e avverto – quasi palpabile – il loro isolamento. Lo percepisco in quel loro raggrupparsi nell’intento di affrontare più agevolmente il disagio, la diffidenza, la discriminazione.
Sono presa intensamente da sensazioni che mettono in risalto i privilegi che la mia vita, mi ha riservato. So che la mia confortevole casa mi aspetta, che l’apporto degli affetti è costante, e che chiedere di più - o anche soltanto non prenderne atto - è quasi immorale.
Però, la sensazione dell’assenza di merito per i benefici e per i vantaggi aleggia nel mio intimo, alimentando pensieri più partecipi per quelle esistense tribolate che gravitano intorno a noi.
Mi sento più consapevole e – improvvisamente – più triste. r.m.
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domenica 22 giugno 2008
Proverbio arabo.
Per la serie "Aiutati, che il ciel t'aiuta!"
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" Affida il tuo cammello alla provvidenza di Dio,
ma....legalo prima ad un albero!"
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" Affida il tuo cammello alla provvidenza di Dio,
ma....legalo prima ad un albero!"
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sabato 21 giugno 2008
Marianna.
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Il caro amico, Prof. Bruno. R. docente (in pensione) scrupoloso e attento alla formazione culturale e morale degli allievi mi riferiva - a mezzo e mail - un significativo episodio che vuole ricordare l’ampio significato dell'educare.
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“”Alla facoltà di medicina,il professore ci diede – quel giorno - un questionario. Essendo alunno diligente, risposi prontamente a tutte le domande fino a quando arrivai all'ultima che era:
" Qual è il nome di battesimo della donna delle pulizie della scuola?"
Sinceramente mi pareva proprio uno scherzo. Avevo visto quella donna molte volte, era alta, capelli scuri, avrà avuto ì suoi cinquant'anni, ma come avrei potuto sapere il suo nome di battesimo? Consegnai il mio test lasciando questa risposta in bianco e, poco prima che finisse la lezione domandai se l'ultima domanda del test avrebbe contato ai fini del voto.
“ È chiaro - rispose il professore. - nella vostra carriera incontrerete molte persone. Hanno tutte il loro grado d'importanza. Esse meritano la vostra attenzione,anche con un semplice sorriso o un semplice ciao".
Non dimenticai mai questa lezione ed imparai che il nome di battesimo della donna delle pulizie della nostra scuola era Marianna.
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Nota di Renata – Da questo toccante aneddoto che mi piace condividere con voi credo di aver capito che gli insegnamenti più validi e positivamente formativi, passano con il tramite della semplicità..
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Il caro amico, Prof. Bruno. R. docente (in pensione) scrupoloso e attento alla formazione culturale e morale degli allievi mi riferiva - a mezzo e mail - un significativo episodio che vuole ricordare l’ampio significato dell'educare.
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“”Alla facoltà di medicina,il professore ci diede – quel giorno - un questionario. Essendo alunno diligente, risposi prontamente a tutte le domande fino a quando arrivai all'ultima che era:
" Qual è il nome di battesimo della donna delle pulizie della scuola?"
Sinceramente mi pareva proprio uno scherzo. Avevo visto quella donna molte volte, era alta, capelli scuri, avrà avuto ì suoi cinquant'anni, ma come avrei potuto sapere il suo nome di battesimo? Consegnai il mio test lasciando questa risposta in bianco e, poco prima che finisse la lezione domandai se l'ultima domanda del test avrebbe contato ai fini del voto.
“ È chiaro - rispose il professore. - nella vostra carriera incontrerete molte persone. Hanno tutte il loro grado d'importanza. Esse meritano la vostra attenzione,anche con un semplice sorriso o un semplice ciao".
Non dimenticai mai questa lezione ed imparai che il nome di battesimo della donna delle pulizie della nostra scuola era Marianna.
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Nota di Renata – Da questo toccante aneddoto che mi piace condividere con voi credo di aver capito che gli insegnamenti più validi e positivamente formativi, passano con il tramite della semplicità..
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venerdì 20 giugno 2008
L'altra campana.
Pubblicato su LA STAMPA il 28 giugno 2008
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Mi sono ripromessa di postare qualcosa ogni giorno, ma quello che andrebbe letto domani è nato da un'emozione che non può attendere. La dedico a Lucignolo
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Uscivo sempre sola con Trapy, la mia cagnolina, ma quando il parco era deserto, non mi sentivo tranquilla. In particolare la sera col buio e la mattina presto dei giorni festivi quando osservavo gente infreddolita che dormiva sotto gli alberi o si lavava alla fontanella con l'acqua gelida, il mio disagio aumentava.
Pensavo “potrebbero essere davvero disposti ad azioni insensate”. La disperazione crea odio e l'odio è irragionevole. Molti extra comunitari gravitano nella nostra zona, sempre soli (raramente vedo una presenza femminile). Da alcuni giorni trovavo ogni mattina un ragazzo che sembrava indiano, steso sulla panchina. Al mio passaggio – forse in risposta al mio sorriso - si alzava con un rispettoso saluto a mani giunte e un inchino del capo.
Non azzardava mai una carezza verso la mia cagnolina, ma la carezzava con lo sguardo. Non parlava la nostra lingua, anzi, non parlava affatto, ma ci capivamo. Ho preso l’abitudine di portargli dei biscotti (loaker in piccole confezioni) Li appoggiavo al suo fianco sulla panchina, poi ho cominciato a cercare di offrirgli quell’aiuto che lui non chiedeva, spiegando che con i biscotti era indispensabile un caffè .
Spiegavo ovviamente a gesti ! Indicavo il bar vicino, mimavo il gesto del bere dalla tazza e gli davo qualcosa, ma lui accettava con evidente difficoltà. Periodicamente, legavo cinque euro con un elastico, al pacchetto dei biscotti. Era così giovane...e così solo! Lo cercavo con gli occhi ogni mattina e quel giorno che non ho più dimenticato mi è venuto incontro, finalmente sorridendo ed ha congiunto le mani col consueto lieve inchino.
Ho capito che era contento. In silenzio mi ha consegnato un biglietto sul quale era scritto: "Trovato lavoro, grazie".
Io non ho molti altri ricordi di una commozione così partecipe. Anche sul mio viso si é dipinta la gioia, gli ho stretto la mano, ma l'avrei abbracciato. Ha accettato per l'ultima volta i biscotti e non l'ho più visto.r.m.
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Mi sono ripromessa di postare qualcosa ogni giorno, ma quello che andrebbe letto domani è nato da un'emozione che non può attendere. La dedico a Lucignolo
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Uscivo sempre sola con Trapy, la mia cagnolina, ma quando il parco era deserto, non mi sentivo tranquilla. In particolare la sera col buio e la mattina presto dei giorni festivi quando osservavo gente infreddolita che dormiva sotto gli alberi o si lavava alla fontanella con l'acqua gelida, il mio disagio aumentava.
Pensavo “potrebbero essere davvero disposti ad azioni insensate”. La disperazione crea odio e l'odio è irragionevole. Molti extra comunitari gravitano nella nostra zona, sempre soli (raramente vedo una presenza femminile). Da alcuni giorni trovavo ogni mattina un ragazzo che sembrava indiano, steso sulla panchina. Al mio passaggio – forse in risposta al mio sorriso - si alzava con un rispettoso saluto a mani giunte e un inchino del capo.
Non azzardava mai una carezza verso la mia cagnolina, ma la carezzava con lo sguardo. Non parlava la nostra lingua, anzi, non parlava affatto, ma ci capivamo. Ho preso l’abitudine di portargli dei biscotti (loaker in piccole confezioni) Li appoggiavo al suo fianco sulla panchina, poi ho cominciato a cercare di offrirgli quell’aiuto che lui non chiedeva, spiegando che con i biscotti era indispensabile un caffè .
Spiegavo ovviamente a gesti ! Indicavo il bar vicino, mimavo il gesto del bere dalla tazza e gli davo qualcosa, ma lui accettava con evidente difficoltà. Periodicamente, legavo cinque euro con un elastico, al pacchetto dei biscotti. Era così giovane...e così solo! Lo cercavo con gli occhi ogni mattina e quel giorno che non ho più dimenticato mi è venuto incontro, finalmente sorridendo ed ha congiunto le mani col consueto lieve inchino.
Ho capito che era contento. In silenzio mi ha consegnato un biglietto sul quale era scritto: "Trovato lavoro, grazie".
Io non ho molti altri ricordi di una commozione così partecipe. Anche sul mio viso si é dipinta la gioia, gli ho stretto la mano, ma l'avrei abbracciato. Ha accettato per l'ultima volta i biscotti e non l'ho più visto.r.m.
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L'altra faccia della vacanza.
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Dal mio balcone, osservavo l’altro giorno una bella micia nera gravida che passeggiava sul marciapiede, con passo lento e lo sguardo diffidente. Non era patita, il pelo bello, lucido, e tutto ciò mi aveva tranquillizzato. “Avrà un padrone!” ho pensato.
In seguito,i miei pensieri, distratti da altri avvenimenti, non sono più tornati alla morbida, nera miciona gravida. Questa mattina, invece mi sono sorpresa a cercarla con lo sguardo, nel punto da cui l’avevo vista arrivare, la prima volta. Niente! Sto rientrando quando alcune voci attirano la mia attenzione.
Abbasso le sguardo fin sulla strada e noto un’autovettura ferma presso il marciapiede, con una portiera aperta e un uomo al volante. Una signora e un ragazzo sui vent'anni caricano due valige e alcuni abiti.
Ferma accanto all’automobile, una signora molto anziana porge all’altra un golfino. Minuta, con i radi capelli candidi fissati sulla nuca, indossa una abito scuro a fiorellini chiari e tiene saldamente, nella mano il bastone. Mi pare a disagio, insicura. Penso stia per salire in macchina quando mi giunge la voce su di tono della più giovane che esclama :
“Ciao! Allora siamo d’accordo. Non farmi stare in pensiero. Fai la brava.”
L’anziana sorride agitando la mano in segno di saluto. La vettura parte e dal finestrino abbassato si sente ripetere “Fai la brava!”.
Rimasta sola sul marciapiede, la signora non sorride più e si allontana con passo incerto. All’improvviso la giornata non mi è più sembrata tanto bella.
Sto per rientrare quando vedo sbucare – in fondo alla strada, sul marciapiede- la miciona nera seguita da tre micetti neri, lucidi, in fila indiana che sgranano i loro splendidi occhi verdi........sul mondo ! r.m.
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Dal mio balcone, osservavo l’altro giorno una bella micia nera gravida che passeggiava sul marciapiede, con passo lento e lo sguardo diffidente. Non era patita, il pelo bello, lucido, e tutto ciò mi aveva tranquillizzato. “Avrà un padrone!” ho pensato.
In seguito,i miei pensieri, distratti da altri avvenimenti, non sono più tornati alla morbida, nera miciona gravida. Questa mattina, invece mi sono sorpresa a cercarla con lo sguardo, nel punto da cui l’avevo vista arrivare, la prima volta. Niente! Sto rientrando quando alcune voci attirano la mia attenzione.
Abbasso le sguardo fin sulla strada e noto un’autovettura ferma presso il marciapiede, con una portiera aperta e un uomo al volante. Una signora e un ragazzo sui vent'anni caricano due valige e alcuni abiti.
Ferma accanto all’automobile, una signora molto anziana porge all’altra un golfino. Minuta, con i radi capelli candidi fissati sulla nuca, indossa una abito scuro a fiorellini chiari e tiene saldamente, nella mano il bastone. Mi pare a disagio, insicura. Penso stia per salire in macchina quando mi giunge la voce su di tono della più giovane che esclama :
“Ciao! Allora siamo d’accordo. Non farmi stare in pensiero. Fai la brava.”
L’anziana sorride agitando la mano in segno di saluto. La vettura parte e dal finestrino abbassato si sente ripetere “Fai la brava!”.
Rimasta sola sul marciapiede, la signora non sorride più e si allontana con passo incerto. All’improvviso la giornata non mi è più sembrata tanto bella.
Sto per rientrare quando vedo sbucare – in fondo alla strada, sul marciapiede- la miciona nera seguita da tre micetti neri, lucidi, in fila indiana che sgranano i loro splendidi occhi verdi........sul mondo ! r.m.
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giovedì 19 giugno 2008
Cantilena per una scelta.
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Voglio farti un bel saluto, perciò all’estro chiedo aiuto e or che la giornata inizia, vorrei offrirti una primizia . senza fare grandi sfoggi, ho un augurio per quest’oggi : sesso, soldi, tanta gioia (roba che non dà mai noia) ma tutto non potrai avere, quindi scegliere è un dovere, ma io mi eclisso svelta, svelta,lascio solo a te la scelta.
Spetta a te l’ultima mossa, vuoi una vita senza scossa? Scegli i soldi ed avrai, spesso,il favore anche del sesso. Col denaro avrai il potere - il sesso, dà un breve piacere, ma la gioia a tutte l’ore... regge se hai l’amore in cuore.
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Voglio farti un bel saluto, perciò all’estro chiedo aiuto e or che la giornata inizia, vorrei offrirti una primizia . senza fare grandi sfoggi, ho un augurio per quest’oggi : sesso, soldi, tanta gioia (roba che non dà mai noia) ma tutto non potrai avere, quindi scegliere è un dovere, ma io mi eclisso svelta, svelta,lascio solo a te la scelta.
Spetta a te l’ultima mossa, vuoi una vita senza scossa? Scegli i soldi ed avrai, spesso,il favore anche del sesso. Col denaro avrai il potere - il sesso, dà un breve piacere, ma la gioia a tutte l’ore... regge se hai l’amore in cuore.
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mercoledì 18 giugno 2008
Pensiero del giorno.
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A volte, un solo istante, restituisce ciò che molti anni ci hanno tolto.
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A volte, un solo istante, restituisce ciò che molti anni ci hanno tolto.
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martedì 17 giugno 2008
Per favore, non dite:"Ai miei tempi" !
IL GIORNALE........ 16 giugno 2008
MISTER no-cesare@lamescolanza.com
LIBERO............. 18 giugno 2008
Giornale di Brescia 19 giugno 2008
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Sento ripetere sovente la frase “ai miei tempi” con il convincimento malinconico di chi circoscrive l’essenza del vivere. E nell’esaminare i contenuti di un concetto così riduttivo mi chiedo :
“Ma chi me lo fa fare di limitare l’intensità del vivere a venti o trent’anni se ho avutola fortuna di viverne molti di più? I successivi o i precedenti al periodo clou, non sono anch’essi tempi miei? Non mi danno anch’essi qualcosa, di buono, di bello da assaporare ?”. Preferisco accennare a periodi trascorsi, con maggiore realismo per cui mi capita di dire “avevo vent’anni, all’epoca” (o trenta o quaranta)” Ma non mi ha mai sfiorata l’idea di dire “ai miei tempi” perché fino a quando respiro e ragiono, fruisco di “tempi miei”. E mi sembra naturale!
Forse perché rifuggo da atteggiamenti rinunciatari. Intanto apprezzo i privilegi, vivere a lungo non è riservato a tutti, quindi sono consapevole di essere stata favorita. E questa è la prima cosa e poi accetto di convivere con le regole di un’anagrafe, qualche volta impietose.
Quando venivo traghettata dalla fanciullezza all’adolescenza, molte trasformazioni si sono verificate e quando l’età adulta mi ha visto “en beauté” l’ho trovato naturale. Ed è altrettanto naturale che ciò che fiorisce, sia destinato a sfiorire. Ma sono avvantaggiata perché ho – come tutti - un’interiorità ancora efficiente. Posso aiutarmi con l’autoironia, posso dire che ero bellissima (tanto....non ci sono superstiti!) e questo solo per fare un sorriso.
Ma i motivi per sorridere sono ancora tanti e tra i tanti mi intenerisce osservare chi è vittima inconsapevole di naturalissime tempeste ormonali! Degli amori un po’ folli! Di chi non ha ancora capito che la felicità è nelle piccole cose a portata di mano! Amo guardare gli occhi dei bimbi, gli amori che sbocciano. Mi fa piacere offrire un sorriso, una carezza. Passeggiare !(Oddio per me è già questa un’impresa, ma quando mi riesce al meglio è una vittoria!)
Ascoltare, capire,cucinare, amare. Certamente dopo solo mezz’ora di applicazione mi ritrovo stanchissima, però posso riposare. Dormo pochissimo. Meglio ! Vivo di più! Se sono giudiziosa, posso sentirmi ricca anche economicamente. Mantengo così buoni rapporti con il dentista, il cardiologo,l’ortopedico,il fisiatra, il parrucchiere al quale tengo ancora molto.
Insomma. Uso il computer ed ho un blog che è luogo d’incontro. Non vado più in vacanza, ma navigo in internet dove faccio nuove conoscenze, allargo i confini e mi godo i miei tempi. E oggi, mi sono anche sfogata in chiacchiere inutili. INUTILI ? r.m.
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MISTER no-cesare@lamescolanza.com
LIBERO............. 18 giugno 2008
Giornale di Brescia 19 giugno 2008
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Sento ripetere sovente la frase “ai miei tempi” con il convincimento malinconico di chi circoscrive l’essenza del vivere. E nell’esaminare i contenuti di un concetto così riduttivo mi chiedo :
“Ma chi me lo fa fare di limitare l’intensità del vivere a venti o trent’anni se ho avutola fortuna di viverne molti di più? I successivi o i precedenti al periodo clou, non sono anch’essi tempi miei? Non mi danno anch’essi qualcosa, di buono, di bello da assaporare ?”. Preferisco accennare a periodi trascorsi, con maggiore realismo per cui mi capita di dire “avevo vent’anni, all’epoca” (o trenta o quaranta)” Ma non mi ha mai sfiorata l’idea di dire “ai miei tempi” perché fino a quando respiro e ragiono, fruisco di “tempi miei”. E mi sembra naturale!
Forse perché rifuggo da atteggiamenti rinunciatari. Intanto apprezzo i privilegi, vivere a lungo non è riservato a tutti, quindi sono consapevole di essere stata favorita. E questa è la prima cosa e poi accetto di convivere con le regole di un’anagrafe, qualche volta impietose.
Quando venivo traghettata dalla fanciullezza all’adolescenza, molte trasformazioni si sono verificate e quando l’età adulta mi ha visto “en beauté” l’ho trovato naturale. Ed è altrettanto naturale che ciò che fiorisce, sia destinato a sfiorire. Ma sono avvantaggiata perché ho – come tutti - un’interiorità ancora efficiente. Posso aiutarmi con l’autoironia, posso dire che ero bellissima (tanto....non ci sono superstiti!) e questo solo per fare un sorriso.
Ma i motivi per sorridere sono ancora tanti e tra i tanti mi intenerisce osservare chi è vittima inconsapevole di naturalissime tempeste ormonali! Degli amori un po’ folli! Di chi non ha ancora capito che la felicità è nelle piccole cose a portata di mano! Amo guardare gli occhi dei bimbi, gli amori che sbocciano. Mi fa piacere offrire un sorriso, una carezza. Passeggiare !(Oddio per me è già questa un’impresa, ma quando mi riesce al meglio è una vittoria!)
Ascoltare, capire,cucinare, amare. Certamente dopo solo mezz’ora di applicazione mi ritrovo stanchissima, però posso riposare. Dormo pochissimo. Meglio ! Vivo di più! Se sono giudiziosa, posso sentirmi ricca anche economicamente. Mantengo così buoni rapporti con il dentista, il cardiologo,l’ortopedico,il fisiatra, il parrucchiere al quale tengo ancora molto.
Insomma. Uso il computer ed ho un blog che è luogo d’incontro. Non vado più in vacanza, ma navigo in internet dove faccio nuove conoscenze, allargo i confini e mi godo i miei tempi. E oggi, mi sono anche sfogata in chiacchiere inutili. INUTILI ? r.m.
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lunedì 16 giugno 2008
Penso agli amici.
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Penso agli amici - che dormon felici e mando un pensiero - di gioia foriero. Posati giù in fondo - i temi del giorno lì,in lista d’attesa - son senza difesa son pronti a tornare-per darsi da fare
non so se son lieti-o se sono inquieti, ma so che se insisti-e ignori i più tristi sopprimi la noia - fai posto alla gioia.
Il giorno tarato - non vien mai cambiato! è meglio mediare, o almeno tentare ! Il dì arriva in fretta-è qui, non aspetta sorridi alla vita-ché.....non è infinita!
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Penso agli amici - che dormon felici e mando un pensiero - di gioia foriero. Posati giù in fondo - i temi del giorno lì,in lista d’attesa - son senza difesa son pronti a tornare-per darsi da fare
non so se son lieti-o se sono inquieti, ma so che se insisti-e ignori i più tristi sopprimi la noia - fai posto alla gioia.
Il giorno tarato - non vien mai cambiato! è meglio mediare, o almeno tentare ! Il dì arriva in fretta-è qui, non aspetta sorridi alla vita-ché.....non è infinita!
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domenica 15 giugno 2008
Andare in orbita !
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Mi aspetto critiche, ma scriverò ugualmente ciò che, nella mia consapevole semplicità, mi sembra abbia senso.
Questo “andar sulla luna” o progettare esplorazioni con identiche finalità,mi fa sentire spiazzata. Ho ascoltato, mi sono interessata, qualcosa ho capito, ma niente mi ha convinta.
Viviamo in un mondo che potrebbe essere davvero paradisiaco e non ne abbiamo la doverosa cura. Mi piacerebbe vedere impegnate tutte le risorse economiche e umane per risolvere – collettivamente – i problemi che infestano la nostra terra.
Risparmio l’elenco – infinito – e mi limito alla qualità dell’aria, all’inquinamento di fiumi e mari, allo scioglimento dei ghiacciai, a gente che muore per fame e vorrei intravedere un futuro meno catastrofico.
Solo dopo aver risolto i problemi impellenti e indubbiamente prioritari, sarebbe legittimo aspirare a conquiste ulteriori, lontane dal nostro fragile mondo.
Dollari e intelligenze vengono profusi nella così detta “conquista dello spazio” ma, è giusto investire risorse imponenti mentre respiriamo male, e non riusciamo a soddisfare necessita primarie?
Cercare risorse – soltanto probabili –lasciandoci sfuggire di mano quelle che si sono rivelate essenziali per migliaia di secoli e che lo sono tutt’ora, è davvero sensato?
Io mi perdo osservando aspirazioni che la presunzione umana, la genialità e lo spirito di avventura trovano legittime.
Avranno ragione! Io – in effetti – ho una mentalità limitata, vorrei soltanto stendere le lenzuola all’aperto e ritirarle candide, vorrei vedere i mie nipoti bagnarsi gioiosamente in fiumi dalle acque limpide e fresche, vorrei mettere un piede graffiato in mare perché si possa disinfettare, vorrei cogliere un frutto che non abbia subito eccessivi trattamenti, vorrei marciapiedi percorribili, città sicure.
Che sciocca, vorrei anche che la frutta bella e sana non fosse mandata al macero “per esigenze di mercato “ che non sono in grado di capire.
Mi vergogno un po’, ma confesso : vorrei perfino, aria respirabile.La mia mentalità è superata, fuori corso, non capisco le esigenze di chi vuol volare “oltre confine”.
O.K. vorrà dire che quando mia nipote rivedrà trasmissioni indubbiamente esaltanti riferite ad imprese spaziali le dirò soltanto”Non guardare a bocca aperta, entra aria!” r.m.
Mi aspetto critiche, ma scriverò ugualmente ciò che, nella mia consapevole semplicità, mi sembra abbia senso.
Questo “andar sulla luna” o progettare esplorazioni con identiche finalità,mi fa sentire spiazzata. Ho ascoltato, mi sono interessata, qualcosa ho capito, ma niente mi ha convinta.
Viviamo in un mondo che potrebbe essere davvero paradisiaco e non ne abbiamo la doverosa cura. Mi piacerebbe vedere impegnate tutte le risorse economiche e umane per risolvere – collettivamente – i problemi che infestano la nostra terra.
Risparmio l’elenco – infinito – e mi limito alla qualità dell’aria, all’inquinamento di fiumi e mari, allo scioglimento dei ghiacciai, a gente che muore per fame e vorrei intravedere un futuro meno catastrofico.
Solo dopo aver risolto i problemi impellenti e indubbiamente prioritari, sarebbe legittimo aspirare a conquiste ulteriori, lontane dal nostro fragile mondo.
Dollari e intelligenze vengono profusi nella così detta “conquista dello spazio” ma, è giusto investire risorse imponenti mentre respiriamo male, e non riusciamo a soddisfare necessita primarie?
Cercare risorse – soltanto probabili –lasciandoci sfuggire di mano quelle che si sono rivelate essenziali per migliaia di secoli e che lo sono tutt’ora, è davvero sensato?
Io mi perdo osservando aspirazioni che la presunzione umana, la genialità e lo spirito di avventura trovano legittime.
Avranno ragione! Io – in effetti – ho una mentalità limitata, vorrei soltanto stendere le lenzuola all’aperto e ritirarle candide, vorrei vedere i mie nipoti bagnarsi gioiosamente in fiumi dalle acque limpide e fresche, vorrei mettere un piede graffiato in mare perché si possa disinfettare, vorrei cogliere un frutto che non abbia subito eccessivi trattamenti, vorrei marciapiedi percorribili, città sicure.
Che sciocca, vorrei anche che la frutta bella e sana non fosse mandata al macero “per esigenze di mercato “ che non sono in grado di capire.
Mi vergogno un po’, ma confesso : vorrei perfino, aria respirabile.La mia mentalità è superata, fuori corso, non capisco le esigenze di chi vuol volare “oltre confine”.
O.K. vorrà dire che quando mia nipote rivedrà trasmissioni indubbiamente esaltanti riferite ad imprese spaziali le dirò soltanto”Non guardare a bocca aperta, entra aria!” r.m.
sabato 14 giugno 2008
La ricetta della serenità .
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– Un pizzico di autoironia
– una presina di cautela
– dieci gocce di umiltà
– altruismo, abbondante
– comprensione, una buona dose
– buona volontà, a piacere
– una spruzzatina di buon senso
– amalgamate con allegria
- guarnite con un tocco di autostima
– servite il tutto con un sorriso
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– Un pizzico di autoironia
– una presina di cautela
– dieci gocce di umiltà
– altruismo, abbondante
– comprensione, una buona dose
– buona volontà, a piacere
– una spruzzatina di buon senso
– amalgamate con allegria
- guarnite con un tocco di autostima
– servite il tutto con un sorriso
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venerdì 13 giugno 2008
Ai quotidiani nazionali e locali. Mine !
Pubblicato da Bresciaoggi il 18 giugno 2008.
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Sono arrivata fin qui, nella mia passeggiata nella vita, ben sapendo quanta cattiveria c’è nel mondo. Mi ha coinvolta o sfiorata o ne sono stata, come tutti, spettatrice impotente. La conosco, ma - ancora oggi - mi amareggia profondamente un tipo di accanimento spregevole a cui non riesco a rassegnarmi !
Parlo delle mine antiuomo, studiate e proposte proprio e soprattutto come mine anti/bambino. La forma accattivante le propone come giocattoli che mai un uomo raccoglierebbe. Sono per loro, per bambini fiduciosi e innocenti ! Studiate in modo che possano attirarli e in un attimo renderli ciechi, amputare le loro manine, deturpare i loro visi, renderli menomati, storpi per sempre.
Mi risulta che la coltivazione di erbe allucinogene è proibita dalla legge e severamente punita. Non si può intervenire quindi, anche per proibire la produzione di armi così inesorabilmente e spietatamente indirizzate ai bambini?
Sono mamma e nonna e – senza enfasi inutili - prego chi ha potere di intervenire con efficacia contro la fabbricazione di ordigni ignobilmente indirizzati a creature indifese. Questo turpe accanimento dovrebbe essere avversato dall’altra parte dell’umanità, quella onesta, quella che non se la prende con i bambini. Per queste cose sarebbe giusto scendere in piazza, reagire, imporsi, battersi.
E’ ovvio che “il futuro” ha poco interesse per me egoisticamente, ma il futuro esiste e investe l’avvenire dei bambini di oggi che hanno il sacrosanto diritto di divenire gli uomini, integri, di domani. Vuole, Direttore farsi portavoce di questa mia invocazione ? Io le sono grata adesso e molti le saranno grati in futuro se ci sarà attenzione verso una tragedia che non deve essere ignorata. La ringrazio e affido alla sua sensibilità, la mia tenue speranza.
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Sono arrivata fin qui, nella mia passeggiata nella vita, ben sapendo quanta cattiveria c’è nel mondo. Mi ha coinvolta o sfiorata o ne sono stata, come tutti, spettatrice impotente. La conosco, ma - ancora oggi - mi amareggia profondamente un tipo di accanimento spregevole a cui non riesco a rassegnarmi !
Parlo delle mine antiuomo, studiate e proposte proprio e soprattutto come mine anti/bambino. La forma accattivante le propone come giocattoli che mai un uomo raccoglierebbe. Sono per loro, per bambini fiduciosi e innocenti ! Studiate in modo che possano attirarli e in un attimo renderli ciechi, amputare le loro manine, deturpare i loro visi, renderli menomati, storpi per sempre.
Mi risulta che la coltivazione di erbe allucinogene è proibita dalla legge e severamente punita. Non si può intervenire quindi, anche per proibire la produzione di armi così inesorabilmente e spietatamente indirizzate ai bambini?
Sono mamma e nonna e – senza enfasi inutili - prego chi ha potere di intervenire con efficacia contro la fabbricazione di ordigni ignobilmente indirizzati a creature indifese. Questo turpe accanimento dovrebbe essere avversato dall’altra parte dell’umanità, quella onesta, quella che non se la prende con i bambini. Per queste cose sarebbe giusto scendere in piazza, reagire, imporsi, battersi.
E’ ovvio che “il futuro” ha poco interesse per me egoisticamente, ma il futuro esiste e investe l’avvenire dei bambini di oggi che hanno il sacrosanto diritto di divenire gli uomini, integri, di domani. Vuole, Direttore farsi portavoce di questa mia invocazione ? Io le sono grata adesso e molti le saranno grati in futuro se ci sarà attenzione verso una tragedia che non deve essere ignorata. La ringrazio e affido alla sua sensibilità, la mia tenue speranza.
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giovedì 12 giugno 2008
Viva la tecnologia!
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Plaudo alla tecnologia - che le pene porta via
ed accoglie molte istanze-abolendo le distanze
Un esempio. Stamattina - mentre ero là in cucina
Io bevevo il mio caffè - e pensavo proprio a te.
Un pochino ti conosco-anche se vuoi star nascosto.
e se cerchi compagnia-ti offrirò, se vuoi, la mia
ci sediamo un po’vicini - sul divano o sui gradini
e dopo esserci ascoltati-ci lasciam più rincuorati!
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Plaudo alla tecnologia - che le pene porta via
ed accoglie molte istanze-abolendo le distanze
Un esempio. Stamattina - mentre ero là in cucina
Io bevevo il mio caffè - e pensavo proprio a te.
Un pochino ti conosco-anche se vuoi star nascosto.
e se cerchi compagnia-ti offrirò, se vuoi, la mia
ci sediamo un po’vicini - sul divano o sui gradini
e dopo esserci ascoltati-ci lasciam più rincuorati!
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mercoledì 11 giugno 2008
La facoltà di non rispondere.
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Mi disturbano alcuni interrogativi che non trovano adeguata risposta. Provo ad esporre il primo:
L’imputato si è avvalso della facoltà di non rispondere- Una legge dello Stato prevede e permette questo atteggiamento. Allora? (la domanda è sostanzialmente provocatoria) perché alle richieste dei rappresentanti dell’ordine un cittadino qualunque, non può affermare “Mi avvalgo della facoltà di non rispondere”? Perché la legge non lo consente. Quindi, chi è sospettato di un delitto, è più favorito rispetto ad un individuo qualunque ? Ho capito bene? Cosa vuole rappresentare questo tipo di tutela a favore di un indagato per reati, anche gravi o addirittura, di crimini ? Si vuol tutelare la persona sospetta in attesa che si consulti con il suo avvocato? Va bene ma, dopo la consultazione col suo difensore l'imputato dovrebbe rispondere, anche esaurientemente. Posso garantire che non sono sola a pormi l’interrogativo che provoca perplessità, sfiducia e insicurezza.
Ed ecco il secondo:
L'imputato chiede il rito abbreviato. Anche questa richiesta è prevista dalla legge. Quindi, anche quando é stato ritenuto colpevole in base alle indagini esperite - se sarà lui a confermarlo - la pena gli verrà ridotta (anche in maniera sostanziale). Cosa significa? Che dicendo “Si l’ho ucciso io! “ avrà un premio?
L’ affermazione é semplicistica e ancora una volta provocatoria ma, la riduzione di un terzo della pena é reale ed eccessiva pur tenendo conto che é stata istituita per favorire una piena confessione. I due interrogativi si pongono a fianco di alcune scarcerazioni facili che hanno avuto come conseguenza, altri furti, altri squallidi raggiri, altri morti. Chiediamo tutti più sicurezza e un po’ di fiducia nella giustizia, ma questo si verificherà quando ogni reato sarà severamente punito perché questo è il deterrente.
Qualsiasi legge può essere modificata, migliorata, se è risultata carente o addirittura permissiva. Quindi? I miei lacunosi tentativi di approfondimento saranno ritenuti sbrigativi, ma credo meritino attenzione. r.m.
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Mi disturbano alcuni interrogativi che non trovano adeguata risposta. Provo ad esporre il primo:
L’imputato si è avvalso della facoltà di non rispondere- Una legge dello Stato prevede e permette questo atteggiamento. Allora? (la domanda è sostanzialmente provocatoria) perché alle richieste dei rappresentanti dell’ordine un cittadino qualunque, non può affermare “Mi avvalgo della facoltà di non rispondere”? Perché la legge non lo consente. Quindi, chi è sospettato di un delitto, è più favorito rispetto ad un individuo qualunque ? Ho capito bene? Cosa vuole rappresentare questo tipo di tutela a favore di un indagato per reati, anche gravi o addirittura, di crimini ? Si vuol tutelare la persona sospetta in attesa che si consulti con il suo avvocato? Va bene ma, dopo la consultazione col suo difensore l'imputato dovrebbe rispondere, anche esaurientemente. Posso garantire che non sono sola a pormi l’interrogativo che provoca perplessità, sfiducia e insicurezza.
Ed ecco il secondo:
L'imputato chiede il rito abbreviato. Anche questa richiesta è prevista dalla legge. Quindi, anche quando é stato ritenuto colpevole in base alle indagini esperite - se sarà lui a confermarlo - la pena gli verrà ridotta (anche in maniera sostanziale). Cosa significa? Che dicendo “Si l’ho ucciso io! “ avrà un premio?
L’ affermazione é semplicistica e ancora una volta provocatoria ma, la riduzione di un terzo della pena é reale ed eccessiva pur tenendo conto che é stata istituita per favorire una piena confessione. I due interrogativi si pongono a fianco di alcune scarcerazioni facili che hanno avuto come conseguenza, altri furti, altri squallidi raggiri, altri morti. Chiediamo tutti più sicurezza e un po’ di fiducia nella giustizia, ma questo si verificherà quando ogni reato sarà severamente punito perché questo è il deterrente.
Qualsiasi legge può essere modificata, migliorata, se è risultata carente o addirittura permissiva. Quindi? I miei lacunosi tentativi di approfondimento saranno ritenuti sbrigativi, ma credo meritino attenzione. r.m.
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martedì 10 giugno 2008
Buongiorno !
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Ho messo una rosa sul tuo comodino
e tutto il mio affetto, è lì sul cuscino.
r.m.
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Ho messo una rosa sul tuo comodino
e tutto il mio affetto, è lì sul cuscino.
r.m.
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lunedì 9 giugno 2008
Un mazzo di gerbere !
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Nel solito accogliente bar, noto che l’amica seduta di fronte a me, ha quella espressione sognante che ricorda la scoperta delle adolescenziali pulsioni amorose. Ma Edvige ha superato da tempo l’età dei sogni e la familiarità che ci lega mi consente la domanda: “Cosa ti succede? Stai faticando a tornare tra i comuni mortali?”
Un dolce sorriso precede il breve racconto. “ Sai che mio figlio,quello grande di 32 anni, vive da solo ormai da un anno e come ti ho detto mi aveva escluso dal suo menage, quasi con strafottenza e si vantava della sua autonomia nei vari àmbiti della quotidianità. Ieri, per la prima volta, mi ha chiesto di sostituirlo passando la mattinata in casa sua perché un idraulico doveva eliminare un fastidioso inconveniente e mi ha lasciato le chiavi.
Arrivata nell’appartamento ho gironzolato tra le stanze, abbastanza ordinate e ho intravisto (ammonticchiate in una cesta in bagno) alcune camicie già lavate. Ho cercato l’occorrente e - mentre l’idraulico portava a termine il lavoro - ad una ad una le ho stirate e le ho adagiate sul letto in camera sua. Gli ho riportato le chiavi in ufficio e sono tornata veloce a casa mia per preparare il pranzo. Verso sera un fioraio mi ha recapitato un mazzo di gerbere, i miei fiori preferiti , ma il biglietto che li accompagnava…era più bello e profumato dei fiori.”
Ancora visibilmente commossa Edvige mi porge un cartoncino sul quale vedo scritte queste parole: “Per le camicie che mi hai stirato oggi, forse bastava un grazie. Ma per quelle che mi hai stirato per anni, sento di doverti molto di più”
La parola “anni” era sbiadita. La commozione aleggiava intensa, ma adesso – davanti al computer – mi riesce difficile tradurla in un messaggio significativo. Ho voluto, comunque, tentare. r.m.
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Nel solito accogliente bar, noto che l’amica seduta di fronte a me, ha quella espressione sognante che ricorda la scoperta delle adolescenziali pulsioni amorose. Ma Edvige ha superato da tempo l’età dei sogni e la familiarità che ci lega mi consente la domanda: “Cosa ti succede? Stai faticando a tornare tra i comuni mortali?”
Un dolce sorriso precede il breve racconto. “ Sai che mio figlio,quello grande di 32 anni, vive da solo ormai da un anno e come ti ho detto mi aveva escluso dal suo menage, quasi con strafottenza e si vantava della sua autonomia nei vari àmbiti della quotidianità. Ieri, per la prima volta, mi ha chiesto di sostituirlo passando la mattinata in casa sua perché un idraulico doveva eliminare un fastidioso inconveniente e mi ha lasciato le chiavi.
Arrivata nell’appartamento ho gironzolato tra le stanze, abbastanza ordinate e ho intravisto (ammonticchiate in una cesta in bagno) alcune camicie già lavate. Ho cercato l’occorrente e - mentre l’idraulico portava a termine il lavoro - ad una ad una le ho stirate e le ho adagiate sul letto in camera sua. Gli ho riportato le chiavi in ufficio e sono tornata veloce a casa mia per preparare il pranzo. Verso sera un fioraio mi ha recapitato un mazzo di gerbere, i miei fiori preferiti , ma il biglietto che li accompagnava…era più bello e profumato dei fiori.”
Ancora visibilmente commossa Edvige mi porge un cartoncino sul quale vedo scritte queste parole: “Per le camicie che mi hai stirato oggi, forse bastava un grazie. Ma per quelle che mi hai stirato per anni, sento di doverti molto di più”
La parola “anni” era sbiadita. La commozione aleggiava intensa, ma adesso – davanti al computer – mi riesce difficile tradurla in un messaggio significativo. Ho voluto, comunque, tentare. r.m.
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domenica 8 giugno 2008
Pensiero del giorno
------------------------------------------------------------------------------------ Se tuo figlio , dicendo “vado a casa”,
non pensa a quella in cui vivi tu,
vuol dire che non ti appartiene più !
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non pensa a quella in cui vivi tu,
vuol dire che non ti appartiene più !
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sabato 7 giugno 2008
Dalla parte dell’amore ?
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Ho rivisto un’amica e, dall’incontro fortuito, il dialogo è scaturito vivace, confidenziale e affettuoso come se si fosse interrotto soltanto da poco mentre, in realtà, alcuni anni sono trascorsi. L’aggiornamento procedeva irruente, affastellato, senza cronologia al punto che – rendendocene conto – siamo scoppiate in una risata. “Entriamo almeno in un Bar!” esclamai.
Seduta di fronte a lei avvertii però il suo nervosismo, il suo disagio. Nessuna domanda, nessuna forzatura, ma mi parve di cogliere un bisogno di confidenzialità.Il sorriso si era ormai spento sul suo volto. La mia partecipazione è silenziosa e attenta, mentre i pensieri turbinano in congetture di ogni genere : un lutto? una grave malattia? Il comportamento preoccupante o deviato del figlio? Un problema di droga? Un handicap?
Perché queste sono, nella mia scala dei valori, le cose che possono giustificare l’angoscia che leggevo su quel volto. E poi…lo sfogo. “Mio figlio è innamorato! Ma lei è senegalese, di un’altra religione, di costumi diversi.Vogliono sposarsi e lui non riesce a intravedere ostacoli! Non so nemmeno con quale rito intendono sposarsi…Si vogliono bene…ma…-conclude -non so darmi pace!”
Il mio sollievo è quasi palpabile; modifico la mia postura che era protesa e mi dispongo all’ascolto sperando di trasmettere con lo sguardo la mia comprensione. Intanto, cerco le parole adatte a ridimensionare la sua pena e provo a intrufolarmi nel suo cuore.
“Per fortuna si tratta di un problema…non ad una tragedia. Viene sempre il momento in cui la parte del genitore diventa sostanzialmente quella dello spettatore. Coinvolto, partecipe, ma dietro le quinte. Nello specifico, quello che si può fare è non aggravare la situazione, già pesante. Però, ha un supporto validissimo : l’amore! Questo piccolo, immenso, delicato, granitico dono, può fare miracoli! "
Come sempre, possiamo offrire il nostro aiuto schierandoci dalla loro parte, dimentichi di noi, dei nostro sogni che – ormai – non coincidono più con i loro! E poi, dirottare tutte le nostre speranze sulla durata di un sentimento che, cementato dalle inevitabili difficoltà, sappia resistere all’insulto del tempo e dei pregiudizi.
Del resto, sperare è necessario in ogni circostanza perchè anche quando, anni fa,c'era garanzia di durata, non c'era assolutamente garanzia di serenità. E oggi? La trovi tu la coppia che offre garanzia assoluta? Si sono visti ribaltoni clamorosi anche quando le premesse non potevano essere migliori! Fai l'unica cosa sensata, guarda negli occhi la donna che tuo figlio ha scelto e lascia che ti aiuti il cuore!"
Immerse totalmente nel dialogo percepivamo, del mondo intorno a noi, soltanto il fruscio. C’era unicamente il suo problema, la mia totale condivisione e la nostra intensa commozione. Dopo un lungo silenzio ci siamo strette le mani con forza, confermando quell’affetto che, spero, si sia rafforzato. Consapevole del fatto che la situazione presenta ombre che si sarebbero trascinate nel tempo, mi accompagna la speranza di averla aiutata a riprendere tra le mani l’unica carta sempre vincente : quella disinteressata dell’amore! r.m.
Ho rivisto un’amica e, dall’incontro fortuito, il dialogo è scaturito vivace, confidenziale e affettuoso come se si fosse interrotto soltanto da poco mentre, in realtà, alcuni anni sono trascorsi. L’aggiornamento procedeva irruente, affastellato, senza cronologia al punto che – rendendocene conto – siamo scoppiate in una risata. “Entriamo almeno in un Bar!” esclamai.
Seduta di fronte a lei avvertii però il suo nervosismo, il suo disagio. Nessuna domanda, nessuna forzatura, ma mi parve di cogliere un bisogno di confidenzialità.Il sorriso si era ormai spento sul suo volto. La mia partecipazione è silenziosa e attenta, mentre i pensieri turbinano in congetture di ogni genere : un lutto? una grave malattia? Il comportamento preoccupante o deviato del figlio? Un problema di droga? Un handicap?
Perché queste sono, nella mia scala dei valori, le cose che possono giustificare l’angoscia che leggevo su quel volto. E poi…lo sfogo. “Mio figlio è innamorato! Ma lei è senegalese, di un’altra religione, di costumi diversi.Vogliono sposarsi e lui non riesce a intravedere ostacoli! Non so nemmeno con quale rito intendono sposarsi…Si vogliono bene…ma…-conclude -non so darmi pace!”
Il mio sollievo è quasi palpabile; modifico la mia postura che era protesa e mi dispongo all’ascolto sperando di trasmettere con lo sguardo la mia comprensione. Intanto, cerco le parole adatte a ridimensionare la sua pena e provo a intrufolarmi nel suo cuore.
“Per fortuna si tratta di un problema…non ad una tragedia. Viene sempre il momento in cui la parte del genitore diventa sostanzialmente quella dello spettatore. Coinvolto, partecipe, ma dietro le quinte. Nello specifico, quello che si può fare è non aggravare la situazione, già pesante. Però, ha un supporto validissimo : l’amore! Questo piccolo, immenso, delicato, granitico dono, può fare miracoli! "
Come sempre, possiamo offrire il nostro aiuto schierandoci dalla loro parte, dimentichi di noi, dei nostro sogni che – ormai – non coincidono più con i loro! E poi, dirottare tutte le nostre speranze sulla durata di un sentimento che, cementato dalle inevitabili difficoltà, sappia resistere all’insulto del tempo e dei pregiudizi.
Del resto, sperare è necessario in ogni circostanza perchè anche quando, anni fa,c'era garanzia di durata, non c'era assolutamente garanzia di serenità. E oggi? La trovi tu la coppia che offre garanzia assoluta? Si sono visti ribaltoni clamorosi anche quando le premesse non potevano essere migliori! Fai l'unica cosa sensata, guarda negli occhi la donna che tuo figlio ha scelto e lascia che ti aiuti il cuore!"
Immerse totalmente nel dialogo percepivamo, del mondo intorno a noi, soltanto il fruscio. C’era unicamente il suo problema, la mia totale condivisione e la nostra intensa commozione. Dopo un lungo silenzio ci siamo strette le mani con forza, confermando quell’affetto che, spero, si sia rafforzato. Consapevole del fatto che la situazione presenta ombre che si sarebbero trascinate nel tempo, mi accompagna la speranza di averla aiutata a riprendere tra le mani l’unica carta sempre vincente : quella disinteressata dell’amore! r.m.
venerdì 6 giugno 2008
Pensiero del giorno
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Non dobbiamo permettere che un solo difetto,
faccia dimenticare cento virtù.
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Non dobbiamo permettere che un solo difetto,
faccia dimenticare cento virtù.
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giovedì 5 giugno 2008
Pensieri sconclusionati
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Mi stavo recando ieri mattina all’edicola per l’acquisto dei quotidiani e riflettevo, cullata dalla temperatura indulgente. Camminando, pensavo ad alcune persone che ho avuto il privilegio di incontrare nel lungo percorso della mia passeggiata nella vita.
Ripensando al foglio bianco davanti al quale mi sono trovata, smarrita, in uno di questi ultimi giorni, mi sono detta : “Ecco un modo gradevole per provare a riempirlo !” Ma non è così semplice. Mi trovo alle prese con pensieri sconclusionati, felici di correre indisciplinati, liberi, fuori dagli schemi.
Pensieri che si spintonano, si sovrappongono, si confondono, prevaricano.Pensieri pieni di gioia friccicarella che invita a sorridere al mondo. Rivivo la genuina felicità che erompe quando incontro l’intelligenza, quella vera, che ha spessore, quella che si palesa sempre, nella banalità come in mezzo alle difficoltà, quella che impegna, stimola, arricchisce, cerca il confronto.
L’intelligenza asessuata che appartiene indifferentemente all’uomo o alla donna, riconoscibile nel gesto, nell’atteggiamento. Quella che si amalgama con le componenti di sensibilità, tatto, impulsività, altruismo, attenzione, approfondimento, intuito,cautela, comprensione, rispetto.
Quella che – così corredata e completa - raramente si incontra. L’intelligenza non ha bisogno di privilegiare il contegno serioso. Anzi, consente volentieri al cuore di abbandonare i limiti condizionanti della formalità . Voi, che ne dite ?
E le persone delle quali volevo parlare ? Non stamattina! Stamattina.....non voglio briglie. Niente binari, nessun condizionamento. Largo ai pensieri, quali che siano! Avete mai provato?
Un besito con un rumoroso schiocco da Renata
Mi stavo recando ieri mattina all’edicola per l’acquisto dei quotidiani e riflettevo, cullata dalla temperatura indulgente. Camminando, pensavo ad alcune persone che ho avuto il privilegio di incontrare nel lungo percorso della mia passeggiata nella vita.
Ripensando al foglio bianco davanti al quale mi sono trovata, smarrita, in uno di questi ultimi giorni, mi sono detta : “Ecco un modo gradevole per provare a riempirlo !” Ma non è così semplice. Mi trovo alle prese con pensieri sconclusionati, felici di correre indisciplinati, liberi, fuori dagli schemi.
Pensieri che si spintonano, si sovrappongono, si confondono, prevaricano.Pensieri pieni di gioia friccicarella che invita a sorridere al mondo. Rivivo la genuina felicità che erompe quando incontro l’intelligenza, quella vera, che ha spessore, quella che si palesa sempre, nella banalità come in mezzo alle difficoltà, quella che impegna, stimola, arricchisce, cerca il confronto.
L’intelligenza asessuata che appartiene indifferentemente all’uomo o alla donna, riconoscibile nel gesto, nell’atteggiamento. Quella che si amalgama con le componenti di sensibilità, tatto, impulsività, altruismo, attenzione, approfondimento, intuito,cautela, comprensione, rispetto.
Quella che – così corredata e completa - raramente si incontra. L’intelligenza non ha bisogno di privilegiare il contegno serioso. Anzi, consente volentieri al cuore di abbandonare i limiti condizionanti della formalità . Voi, che ne dite ?
E le persone delle quali volevo parlare ? Non stamattina! Stamattina.....non voglio briglie. Niente binari, nessun condizionamento. Largo ai pensieri, quali che siano! Avete mai provato?
Un besito con un rumoroso schiocco da Renata
mercoledì 4 giugno 2008
4 giugno- filastrocca per il mio compleanno
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Son su con gli anni e cerco ancora,un po’ dovunque ciò che mi rincuora. Sprecare l’autunno è un po’da idioti,se ci sono i figli,nipoti, pro/nipoti.
Coltivo con passione un orticello e lo guardo come fosse un bel gioiello. Il mio orticello è stato seminato per dare frutti, rari sul mercato!
Il terreno è fertile e - senza limitazioni - dà fiori sempre, non segue le stagioni. Li è nato, spesso senza ragione, l’amore in ogni sua espressione.
Quello amoroso, fraterno, per i figli, nel mio terreno fiorisce senza appigli; quello amicale,spesso mal ricambiato che in ogni caso non fu mai sprecato!
Sperando che il raccolto non deluda e che la tempesta non si includa, semino, ma non sto lì ad aspettare, così la delusione non mi può trovare!
Ho faticato, ma in questo sta l’incanto, davvero io non so cos’é il rimpianto; qualcuno ha calpestato il mio orticello? Altri l’han dissetato. Questo è il bello.
Mi han fatto male? Ora non ricordo, ma il bene ricevuto non lo scordo!
Credo sia un buon atteggiamento che rasserena il cuore ogni momento.
Spero di non aver fatto torti o danni e oggi, cari amici, compio gli anni.
E se i giorni miei mettessi tutti in fila sarebbero, più o meno trentamila !
Son su con gli anni e cerco ancora,un po’ dovunque ciò che mi rincuora. Sprecare l’autunno è un po’da idioti,se ci sono i figli,nipoti, pro/nipoti.
Coltivo con passione un orticello e lo guardo come fosse un bel gioiello. Il mio orticello è stato seminato per dare frutti, rari sul mercato!
Il terreno è fertile e - senza limitazioni - dà fiori sempre, non segue le stagioni. Li è nato, spesso senza ragione, l’amore in ogni sua espressione.
Quello amoroso, fraterno, per i figli, nel mio terreno fiorisce senza appigli; quello amicale,spesso mal ricambiato che in ogni caso non fu mai sprecato!
Sperando che il raccolto non deluda e che la tempesta non si includa, semino, ma non sto lì ad aspettare, così la delusione non mi può trovare!
Ho faticato, ma in questo sta l’incanto, davvero io non so cos’é il rimpianto; qualcuno ha calpestato il mio orticello? Altri l’han dissetato. Questo è il bello.
Mi han fatto male? Ora non ricordo, ma il bene ricevuto non lo scordo!
Credo sia un buon atteggiamento che rasserena il cuore ogni momento.
Spero di non aver fatto torti o danni e oggi, cari amici, compio gli anni.
E se i giorni miei mettessi tutti in fila sarebbero, più o meno trentamila !
martedì 3 giugno 2008
Sottovoce, ad ognuno di voi.
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(rime naif, affettuosamente scombinate)
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Attenzione ! arriva un beso.
Non lasciarlo lì sospeso !
Ha viaggiato ed ora é giunto.
Che farai tu, a questo punto ?
Lo terrai...tutto per te
o, lo rimanderai da me ?
(rime naif, affettuosamente scombinate)
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Attenzione ! arriva un beso.
Non lasciarlo lì sospeso !
Ha viaggiato ed ora é giunto.
Che farai tu, a questo punto ?
Lo terrai...tutto per te
o, lo rimanderai da me ?
lunedì 2 giugno 2008
La passione e le aspettative concrete
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La domanda :- «Renata, lei crede di riuscire a parlarmi esaurientemente dell’amore»? Che bella l’ansia in quegli occhi attenti! L’interlocutrice ha trent’anni e qualche esperienza alle spalle. Certo, possiamo parlarne, ma esaurientemente è un aggettivo impegnativo.
Ho discusso e scritto frequentemente dell’amore e so bene che, quando l'occasione é favorevole, affiorano sentimenti tenuti in ombra dalla frenesia del vivere, ma - per quanto attiene alla coppia - la parola “esaurientemente” ostacola. Nell' amore troviamo sfumature, bisogni dell’anima, esigenze personali che presentano tante e tali sfaccettature da rendere impossibile la loro adattabilità generalizzata.
Per come lo vedo io, l’amore è sempre farcito di parole come "forse", "vorrei" e "chissà", ma si fonda soprattutto sulla reciprocità, che richiede un graduale assestamento. Inizialmente attiene quasi essenzialmente alla sfera dei sensi (è epidermico, olfattivo, impalpabile e soprattutto inspiegabile) ma, nel suo procedere avanza richieste che appaghino anche la mente, il carattere, le esigenze concrete.
Ed è questo lo scoglio contro il quale si infrangono le onde irrazionali della passione. La quotidianità ci pone davanti alla nostra fragilità e a quella del partner evidenziando l’impossibilità di incarnare eternamente un ideale. E soltanto quando la passionalità riuscirà a convivere con la quotidianità l’amore potrà, finalmente, instaurarsi. A questo punto prenderà forma quel sentimento profondo che cercherà di comprendere, di adattarsi, di tollerare. Insomma... di amare veramente.
Questo ho detto alla mia giovane amica, perché soltanto questo ho saputo dire. - Mi rimane sempre il dubbio di non essere stata del tutto esauriente. Esprimo comunque il convincimento che anche in tema di sentimenti si possono fare conquiste, spesso faticose, ma certamente appaganti. Auguro a tutti di avere, almeno, la voglia di provarci.r.m.
Ho discusso e scritto frequentemente dell’amore e so bene che, quando l'occasione é favorevole, affiorano sentimenti tenuti in ombra dalla frenesia del vivere, ma - per quanto attiene alla coppia - la parola “esaurientemente” ostacola. Nell' amore troviamo sfumature, bisogni dell’anima, esigenze personali che presentano tante e tali sfaccettature da rendere impossibile la loro adattabilità generalizzata.
Per come lo vedo io, l’amore è sempre farcito di parole come "forse", "vorrei" e "chissà", ma si fonda soprattutto sulla reciprocità, che richiede un graduale assestamento. Inizialmente attiene quasi essenzialmente alla sfera dei sensi (è epidermico, olfattivo, impalpabile e soprattutto inspiegabile) ma, nel suo procedere avanza richieste che appaghino anche la mente, il carattere, le esigenze concrete.
Ed è questo lo scoglio contro il quale si infrangono le onde irrazionali della passione. La quotidianità ci pone davanti alla nostra fragilità e a quella del partner evidenziando l’impossibilità di incarnare eternamente un ideale. E soltanto quando la passionalità riuscirà a convivere con la quotidianità l’amore potrà, finalmente, instaurarsi. A questo punto prenderà forma quel sentimento profondo che cercherà di comprendere, di adattarsi, di tollerare. Insomma... di amare veramente.
Questo ho detto alla mia giovane amica, perché soltanto questo ho saputo dire. - Mi rimane sempre il dubbio di non essere stata del tutto esauriente. Esprimo comunque il convincimento che anche in tema di sentimenti si possono fare conquiste, spesso faticose, ma certamente appaganti. Auguro a tutti di avere, almeno, la voglia di provarci.r.m.
domenica 1 giugno 2008
Confessioni...a luci rosa !
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In un pomeriggio qualunque di quell'afoso mese di giugno del 1942, mi trovavo a casa di un’amica e studiavo con lei. Il solito inesauribile interesse ci aveva assorbito al punto che non ci eravamo rese conto del tempo che passava. Ci distolse dai nostri interessi la mamma di Edvige che si affacciò alla soglia del tinello dove noi eravamo chine sui libri e mi prospettò l’opportunità di rimanere con loro per la cena e per la notte.
Era il secondo anno di una guerra lacerante che avrebbe imperversato tragicamente anche nella mia vita e i miei genitori erano sfollati in un paesino della pianura padana mentre io e mia sorella più grande rimanevamo in città perché io concludevo la scuola media e Anna lavorava nello studio di un ingegnere, in città. Li raggiungevamo ogni sera, nella grande cascina che ci ospitava, ma in quell’occasione accettai con gioia l’invito e corsi in bicicletta ad avvertire mia sorella. Già al ritorno pedalavo felice pregustando la novità della mia prima notte fuori casa. Tre donne sole e – per quanto riguardava me e l’amica - ancora spensierate.
La signora non lo era di certo perché il figlio era stato richiamato alle armi e anche il marito era lontano per ragioni che non ricordo. Finita la cena già parca, ma comunque gioiosa, Edvige mi accompagnò nella camera del fratello assente e mi porse una bella camicia da notte, in raso che indossai incuriosita. La morbida seta aderì al seno già abbastanza delineato e scivolò aderendo lievemente ai fianchi. Corsi davanti allo specchio e guardai incuriosita quella promessa di femminilità che lo specchio mi rimandava in un’ immagine nuova e accattivante.
Capelli corvini, arruffati, labbra carnose, occhi scuri e vivaci e un corpo di gradevoli proporzioni rivelavano qualcosa di promettente e inaspettato. Edvige, in pigiama, davanti allo specchio fece un fragoroso battimani e scoppiammo entrambe in una maliziosa, compiaciuta risata. Chiacchierammo a lungo quella sera mentre lei era seduta sul letto dove mi ero buttata felice. Sogni, fantasie, speranze per noi esclusive e speciali che riguardavano l’età adolescenziale, finché uno sbadiglio di Edvige precedette la “buona notte” che ci scambiammo felici.
Rimasta sola, tornai davanti allo specchio e con lo sguardo, carezzai quel corpo, quasi sconosciuto e scoprii nel mio sguardo riflesso, interrogativi ai quali non sapevo rispondere. Feci spallucce, mandai un bacione dal palmo della mano a quella mia nuova immagine e mi infilai felice sotto le coperte. Rivolsi un lungo sguardo, che non era più da bambina alla grande foto del bruno ragazzo lontano (che non sarebbe più tornato) e mi addormentai sorridendo con una nuova, languida dolcezza. Intuivo così, con il tramite di una morbida camicia da notte, le mie prime dolcissime, femminili pulsioni. r.m.
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In un pomeriggio qualunque di quell'afoso mese di giugno del 1942, mi trovavo a casa di un’amica e studiavo con lei. Il solito inesauribile interesse ci aveva assorbito al punto che non ci eravamo rese conto del tempo che passava. Ci distolse dai nostri interessi la mamma di Edvige che si affacciò alla soglia del tinello dove noi eravamo chine sui libri e mi prospettò l’opportunità di rimanere con loro per la cena e per la notte.
Era il secondo anno di una guerra lacerante che avrebbe imperversato tragicamente anche nella mia vita e i miei genitori erano sfollati in un paesino della pianura padana mentre io e mia sorella più grande rimanevamo in città perché io concludevo la scuola media e Anna lavorava nello studio di un ingegnere, in città. Li raggiungevamo ogni sera, nella grande cascina che ci ospitava, ma in quell’occasione accettai con gioia l’invito e corsi in bicicletta ad avvertire mia sorella. Già al ritorno pedalavo felice pregustando la novità della mia prima notte fuori casa. Tre donne sole e – per quanto riguardava me e l’amica - ancora spensierate.
La signora non lo era di certo perché il figlio era stato richiamato alle armi e anche il marito era lontano per ragioni che non ricordo. Finita la cena già parca, ma comunque gioiosa, Edvige mi accompagnò nella camera del fratello assente e mi porse una bella camicia da notte, in raso che indossai incuriosita. La morbida seta aderì al seno già abbastanza delineato e scivolò aderendo lievemente ai fianchi. Corsi davanti allo specchio e guardai incuriosita quella promessa di femminilità che lo specchio mi rimandava in un’ immagine nuova e accattivante.
Capelli corvini, arruffati, labbra carnose, occhi scuri e vivaci e un corpo di gradevoli proporzioni rivelavano qualcosa di promettente e inaspettato. Edvige, in pigiama, davanti allo specchio fece un fragoroso battimani e scoppiammo entrambe in una maliziosa, compiaciuta risata. Chiacchierammo a lungo quella sera mentre lei era seduta sul letto dove mi ero buttata felice. Sogni, fantasie, speranze per noi esclusive e speciali che riguardavano l’età adolescenziale, finché uno sbadiglio di Edvige precedette la “buona notte” che ci scambiammo felici.
Rimasta sola, tornai davanti allo specchio e con lo sguardo, carezzai quel corpo, quasi sconosciuto e scoprii nel mio sguardo riflesso, interrogativi ai quali non sapevo rispondere. Feci spallucce, mandai un bacione dal palmo della mano a quella mia nuova immagine e mi infilai felice sotto le coperte. Rivolsi un lungo sguardo, che non era più da bambina alla grande foto del bruno ragazzo lontano (che non sarebbe più tornato) e mi addormentai sorridendo con una nuova, languida dolcezza. Intuivo così, con il tramite di una morbida camicia da notte, le mie prime dolcissime, femminili pulsioni. r.m.
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