L’editoriale del lettori de
Bresciaoggi ....................15 ottobre 2010
Correva l’anno 1946. Sparsi nelle vigne, uomini, donne, ragazzi di tutte le età ci si dava da fare per staccare i turgidi grappoli che venivano adagiati nelle capaci gerle che robusti uomini si caricavano sulle spalle per poi rovesciarle sul carro.
E quando stanchi, felici e affamati ci si accingeva a rientrare i più svelti e fortunati riuscivano a saltare su quel carro per fare l’ingresso in cascina cantando a squarciagola..
Nel vasto cortile sassoso le donne che non erano scese tra i filari, avevano approntato il pranzo per tutti.
Io mi divertivo nel collaborare alla preparazione ed era questo il motivo che mi spingeva a sgattaiolare per tempo dalle vigne per partecipare a quel rito. Su robusti cavalletti venivano poste lunghe assi rettangolari che, ricoperte di carta bianca, davano proprio l’idea di un festoso banchetto. Piatti, bicchieri, pane e tante, tante polente frutto del contributo di tutte le famiglie che ne cuocevano anche più d’una.
Sempre all’aperto sul fuoco acceso tra grosse pietre, un trepiede di ferro sosteneva la bassa, larga padella di ferro dal lungo manico nella quale soffriggeva il burro profumato e salato nel quale venivano soffritte le uova per essere servite con la polenta : due per ogni partecipante!. Un lusso.
Tanta insalata, salame affettato, formaggella di cascina, qualche fiasco di vino e due o tre secchi di acqua freschissima ( unica cosa di cui ci si poteva servire a volontà). Sul finire compariva una fisarmonica e tra sfottò, risate e punzecchiature di zanzare si inserivano i cori, timidi sulle prime e poi, con il concorso di tutti, perfino troppo sonori.
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