Copio e riporto per voi l'articolo del filosofo Remo Bodei
apparso l'11 agosto 2009 sul Corriere della Sera.
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La dittatura dei desideri.
Sul muro esterno del tempio di Apollo a Delfi, accanto al più famoso motto «Conosci te stesso», campeggiava la scritta «Niente di troppo». In essa si condensa il nucleo della religione, della morale e perfino dell'estetica classica, tutte basate sulla misura e sulla conseguente condanna della violazione dei limiti (ybris, tracotanza o sregolatezza).
L'etica aristotelica è l'espressione più elaborata di questo criterio, il ponte principale attraverso cui il modello antico è giunto nell'Occidente medioevale e rinascimentale, plasmando la nostra mentalità e i nostri costumi. Che la virtù stia nel mezzo, che coincida con morigeratezza, non significa tuttavia che gli estremi, per difetto o per eccesso, si elidano reciprocamente: la liberalità non costituisce la media aritmetica tra l'avarizia e la prodigalità, ma la vetta che le squalifica entrambe.
Tramonta così la morigeratezza che aveva insegnato ad abbassare la soglia delle pretese degli individui piuttosto che ad alzare quella delle loro attese.
Le società tradizionali possedevano, infatti, strumenti abbastanza efficaci sia per compensare gli uomini degli svantaggi della loro condizione, sia per giustificare le gerarchie sociali. L'accettazione dei limiti e delle privazioni della vita trovava di norma il proprio risarcimento nella prospettiva religiosa di una ricompensa in cielo.
L'impetuoso sviluppo economico in molte parti del mondo, dovuto all'introduzione delle macchine, la spinta ai consumi per far funzionare il sistema produttivo e la nascita delle società democratico-egualitarie moderne hanno invece aperto una falla in questo dispositivo di inibizione delle aspettative, collaudato da millenni. La condotta di miliardi di uomini ne è stata profondamente modificata.
Con la fine virtuale, per molti, della scarsità di alcune risorse fondamentali e con l'aspirazione degli esclusi a conseguire vantaggi simili, i desideri prima compressi, sublimati o denigrati si sono in parte liberati dalle precedenti catene e sono scattati, come una molla compressa, verso la loro «smisurata» soddisfazione. Il consumo esteso di beni visibili e invisibili - da sempre appannaggio di élite ristrette - e la loro relativa abbondanza a costi generalmente affrontabili, hanno modificato la composizione e l'orientamento dei desideri e ampliato, anche sul piano dell'immaginario, il ventaglio dei possibili.
Nella ricerca di una «vita esagerata» da consumare, non si punta alla semplice soddisfazione dei desideri, ma alla loro moltiplicazione, a renderli più intensi e, se possibile, più vari.Nelle nostre culture tale tendenza si mostra in maniera evidente nel campo del cibo e del sesso. Sintomatica, nel primo caso, è la petizione al Papa, nel 2003, dei cuochi francesi affinché facesse togliere la gola dall'elenco dei peccati capitali.
L'attuale iper soddisfazione dei bisogni alimentari ha fatto dei piaceri della tavola, oltre che un elemento di cultura, un fattore di compensazione per lo stress quotidiano e uno dei più favoriti argomenti di conversazione.
Non sempre cibo e bevande rappresentano occasioni di gioia. L'eccesso, in un senso o nell'altro, provoca obesità, anoressia, bulimia, danni all'organismo e confusione tra qualità e quantità, che induce a fare il pieno per sentirsi appagati o storditi.(continua)
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