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In uno di questi pomeriggi decisamente estivi, mentre passeggio in un bel parco cittadino,osservando persone e cose, mi sento anch’io parte di un virtuale affresco. Vorrei saper dipingere, per fissare sulla tela vialetti, colori e sensazioni.
Tenterò di dipingere con le parole !
All’ombra di un pino marittimo occupano una panchina due donne sui trent’anni. Capelli e occhi chiari, indossano entrambe tailleurs decorosamente demodé, scarpe scollate e lucidissime. Tra loro un foglio di carta (tipo il singolo delle pizzerie) sul quale è appoggiata una piccola torta quadrata, due bicchieri di carta e due bibite in lattina.
Una di loro porge all’altra – lentamente, una alla volta – alcune fotografie commentando in una lingua che mi pare slava. Sorridono con le labbra, ma i loro occhi sono umidi e lucidi.
Ad un tratto, una bimba di tre/quattro anni, con tante treccioline scure, occhi nerissimi e vivaci arriva correndo e si blocca davanti alla torta ancora intatta.
Sosta fissando il dolce posato sulla panchina, ma perentoriamente una voce d’uomo la chiama “Amin!”. La bimba si gira repentinamente, lo raggiunge e affida la sua manina scura in quella nera di lui e assieme si allontanano, seguiti dallo sguardo sorridente delle due donne.
Poco distante alcune persone di colore conversano ad alta voce in una lingua incomprensibile, intervallando con gioiose risate complici – apparentemente – serene.
In uno spazio verde - adiacente - alcuni ragazzi, vestiti di tela chiara, con pantaloni coperti dalla lunga camicia che ricade morbidamente fino oltre il ginocchio, giocano con un pallone.
I loro capelli, nerissimi, luccicano sotto il sole. Hanno la pelle bruna e denti bianchissimi, si muovono velocemente, agili e snelli. Sorridono spesso, scambiandosi alcune frasi in una lingua che ha scatti velocissimi, senza pause.
In un altro spazio a lato delle verdi aiuole, un barbiere improvvisato, in piedi dietro la spalliera di una sedia sgangherata – occupata da un giovane sui vent’anni -taglia, con disinvolta sicurezza, i capelli al giovane mentre, seduti in fila su di un muretto laterale sette o otto altri uomini attendono, parlottando con tranquillità, il loro turno.
Sotto il tepido sole continuo la mia passeggiata e osservo questa gente, sradicata dalla terra d’origine, smembrata negli affetti, che cerca di inserirsi in um mondo diverso, sconosciuto che li osserva con stupore e innegabile, latente ostilità.
Sono tra noi, ma non sono con noi e avverto – quasi palpabile – il loro isolamento. Lo percepisco in quel loro raggrupparsi nell’intento di affrontare più agevolmente il disagio, la diffidenza, la discriminazione.
Sono presa intensamente da sensazioni che mettono in risalto i privilegi che la mia vita, mi ha riservato. So che la mia confortevole casa mi aspetta, che l’apporto degli affetti è costante, e che chiedere di più - o anche soltanto non prenderne atto - è quasi immorale.
Però, la sensazione dell’assenza di merito per i benefici e per i vantaggi aleggia nel mio intimo, alimentando pensieri più partecipi per quelle esistense tribolate che gravitano intorno a noi.
Mi sento più consapevole e – improvvisamente – più triste. r.m.
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In uno di questi pomeriggi decisamente estivi, mentre passeggio in un bel parco cittadino,osservando persone e cose, mi sento anch’io parte di un virtuale affresco. Vorrei saper dipingere, per fissare sulla tela vialetti, colori e sensazioni.
Tenterò di dipingere con le parole !
All’ombra di un pino marittimo occupano una panchina due donne sui trent’anni. Capelli e occhi chiari, indossano entrambe tailleurs decorosamente demodé, scarpe scollate e lucidissime. Tra loro un foglio di carta (tipo il singolo delle pizzerie) sul quale è appoggiata una piccola torta quadrata, due bicchieri di carta e due bibite in lattina.
Una di loro porge all’altra – lentamente, una alla volta – alcune fotografie commentando in una lingua che mi pare slava. Sorridono con le labbra, ma i loro occhi sono umidi e lucidi.
Ad un tratto, una bimba di tre/quattro anni, con tante treccioline scure, occhi nerissimi e vivaci arriva correndo e si blocca davanti alla torta ancora intatta.
Sosta fissando il dolce posato sulla panchina, ma perentoriamente una voce d’uomo la chiama “Amin!”. La bimba si gira repentinamente, lo raggiunge e affida la sua manina scura in quella nera di lui e assieme si allontanano, seguiti dallo sguardo sorridente delle due donne.
Poco distante alcune persone di colore conversano ad alta voce in una lingua incomprensibile, intervallando con gioiose risate complici – apparentemente – serene.
In uno spazio verde - adiacente - alcuni ragazzi, vestiti di tela chiara, con pantaloni coperti dalla lunga camicia che ricade morbidamente fino oltre il ginocchio, giocano con un pallone.
I loro capelli, nerissimi, luccicano sotto il sole. Hanno la pelle bruna e denti bianchissimi, si muovono velocemente, agili e snelli. Sorridono spesso, scambiandosi alcune frasi in una lingua che ha scatti velocissimi, senza pause.
In un altro spazio a lato delle verdi aiuole, un barbiere improvvisato, in piedi dietro la spalliera di una sedia sgangherata – occupata da un giovane sui vent’anni -taglia, con disinvolta sicurezza, i capelli al giovane mentre, seduti in fila su di un muretto laterale sette o otto altri uomini attendono, parlottando con tranquillità, il loro turno.
Sotto il tepido sole continuo la mia passeggiata e osservo questa gente, sradicata dalla terra d’origine, smembrata negli affetti, che cerca di inserirsi in um mondo diverso, sconosciuto che li osserva con stupore e innegabile, latente ostilità.
Sono tra noi, ma non sono con noi e avverto – quasi palpabile – il loro isolamento. Lo percepisco in quel loro raggrupparsi nell’intento di affrontare più agevolmente il disagio, la diffidenza, la discriminazione.
Sono presa intensamente da sensazioni che mettono in risalto i privilegi che la mia vita, mi ha riservato. So che la mia confortevole casa mi aspetta, che l’apporto degli affetti è costante, e che chiedere di più - o anche soltanto non prenderne atto - è quasi immorale.
Però, la sensazione dell’assenza di merito per i benefici e per i vantaggi aleggia nel mio intimo, alimentando pensieri più partecipi per quelle esistense tribolate che gravitano intorno a noi.
Mi sento più consapevole e – improvvisamente – più triste. r.m.
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Leggendo la prima parte del racconto, pensavo, "ecco il paese che vorrei, tanti mondi diversi che coesistono uno a fianco a l'altro, in un posto diverso, ognuno che sappia ritagliarsi il suo spazio, le commistioni saranno inevitabili, col tempo", perchè non credo molto all'integrazione, ognuno ha un suo modo, l'importante per me è la coesistenza.
RispondiEliminaPoi ho letto il quasi immorale, che provavo anch'io nei giorni scorsi, con un poco di tristezza si...
ma loro nel parco sorridevano, quasi tutti !
( Due post fa, ho solo pensato di averti scritto qualcosa o te lo scritto davvero ed è sconparso ? )
ByBy
Cara Renata, hai dipinto la realtà di una umanità relegata ai margini della nostra opulenta società.
RispondiEliminaIn quella umanità che sembra cosi diversa da noi, SEMBRA, In essi ci sono le stesse esigenze umane che sono presenti anche in noi: speranza, amore, odio, gelosia, solidrietà, voglia di vivere, l'amore per i figli e tutto cio che è presente nel genere umano e quindi dove sta la differenza?
La differenza è nei nostri pregiudizi.
Ciao e buona serata
Salvo
Lucignolo, certo c'è una bella differenza tra integrazione e coesistenza, ma una serena pacifica coesistenza è già una previsione paradisiaca.
RispondiEliminaIl pezzo è stato scritto e pubblicato nel mese di agosto del 2006, ma l'ho riportato tal quale perchè una passeggiata di oggi ha riproposto, la situazione pressochè identica. Se voglio trovare serenità e speranza guardo i bimbi che giocano nel giardino dell'asilo che ha sede nel parco Gallo a Brescia. Ne vedo veramente "di tutti colori" e questi bimbi - assieme- presentano veramente un radioso arcobaleno.
P.S. L'ultimo post nel quale appare un tuo intervento è L'altra campana. Buona serata.
Caro Salvo, come ho detto a Lucignolo, lo scritto (riproposto) risale all'estate duemilasei.
RispondiEliminaE aggiungo soltanto "niente di nuovo, sotto il sole!"
Le esigenze dell'umanità sono le stesse in ogni angolo della terra.
Questo è il punto. e il bene e il male albergano davvero ovunque.
Estirpare i pregiudizi,si può.
Proviamoci, almeno.
Buena vida.
Bellissima fotografia a colori, la coesistenza è il primo passo verso l'integrazione.Forza Obama! Ho carissimi amici del Ghana e tra questi un ingegnere poeta che lavora in fonderia.Mi ha recentemente regalato due poesie del suo poeta prediletto Ndjock Ngana, (nato in Camerum e cittadino del mondo)le trascrivo per te Renata e per tutti gli amici.
RispondiEliminaVIVERE UNA SOLA VITA
in una sola città,
in un solo paese,
in un solo universo,
vivere in un solo mondo
è prigione.
Conoscere una sola lingua
un solo lavoro
un solo costume
una sola civiltà
conoscere una sola logica
è prigione.
BELLEZZA NERA
Amo il tuo sguardo di fiera
E la tua bocca dal gusto di mango
Rama Kam
Il tuo corpo è pepe nero
Che attizza il desiderio
Rama Kam
Al tuo passaggio la pantera è gelosa
Del caldo ritmo del tuo fianco
Rama Kam
Quando danzi nel chiaror delle notti
Il tam tam
Rama kam
Ansima sotto l’uragano Dyunung del griot
E quando ami
Quando ami Rama Kam
E’ il tornado che s’abbatte
E tuona
E colmo mi lascia del respiro di te
Rama Kam.
Ndjock Ngana
Che grande ricchezza l'integrazione! E che fortunata Rama Kam
Buon giorno cara Renata.
RispondiEliminaTu dipingi in modo fantastico!!!
I tuoi colori sono quelli della sensibilità, dell'amore per il prossimo, della gioia della vita...
della tristezza della vita; sono colori che ritraggono l'interno del tuo cuore e illuminano di interesse prospettive altrimenti in ombra. A volte, volutamente in ombra.
Mi hai regalato, ancora e come sempre, un nodo di commozione ed una benefica punta di consapevole amarezza. Grazie.
Besotes; muchisimos bes..........
E' bello leggerti, è bello leggere anche i commenti che....provochi (ho stampato le poesie regalateci da silvia dell'isola) sei ben frequentata, a presto A.
RispondiEliminaAltro che affresco....dipingi benissimo con le parole!
RispondiEliminaSempre spunti sui quali riflettere e non addormentarsi...
Un abbraccio.
E' sempre difficile far coabitare abitudini e culture diverse. E' propirio vero che siamo fortunati solo per il fatto di essere tra i nostri "simili" e non essere guardati con curiosità o ostilità, camminare, fare la spesa, scambiare due parole con il fruttivendolo e non avvertire diffidenza........Ma è davvero così? e la solitudine dei nostri guai, dove la collochiamo? l'indifferenza, il pregiudizio, non è anche nei confronti dei nostri "simili". Perdonami renata, ma la nostra fortuna è solo fittizia, il genere umano in questo periodo sociale è solo, ci ritroviamo sui blog e quando guardiamo in faccia le persone, evitiamo di raccontargli i nostri malesseri, la nostra tristezza, quando è presente, per non sentirci giudicati, senza la libertà di ricevere un po' di solidarietà visto che le nostre tristezze o i nostri guai sono i guai e le tristezze di tutti. La superficialità, è il male di questo secolo, penso che proprio l'arrivo di nuove culture ci dia la possibilità di osservare quanto invece tra di loro spicchi "solidarietà", nelle loro difficoltà c'è l'unione, nella nostra "fortuna" vedo tanto individualismo.
RispondiEliminaComunque, complimenti per il magnifico dipinto!!
Un saluto affettuoso
SILVIA - Ti meriti un abbraccio stritolante !
RispondiEliminaLe poesie che hai trascritto per me e per gli amici, meritano larga diffusione e pertanto le trasfeirò subito come post. Non senza averti, prima ringraziato sentitamente.
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ZAHXARA - Il tuo parere gratifica con parole che sanno di affetto e di sincera partecipazione. Hasta luego y Muchas gracias.
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ALIZA - Hai ragione. Le poesie che Silvia ci ha offerto sono davvero importanti. Le offro volentieri a tutti e le trasferisco come post. Un caro saluto
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MICHELE GIORDANO. Che bel complimento mi hai riservato. Grazie !Ricambio l'abbraccio.
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ZIORINA - E' vero che la diffidenza si interpone anche neii rapporti con chiunque gravita nel nostro spazio, ma questo ci aiuta a capire l'aggravante dell'estraneità. Non conoscere la lingua, essere guardati con fiffidenza. Auguriamoci di non provarlo mai. Sono contenta che l'"affresco" sia di tuo gradimento. A presto.