Giornale di Brescia del 27
marzo 2016
Block notes di renata
mucci
Il sano rito della polenta
Ricordo i risvegli al canto del gallo e al vociare degli uomini che
accudivano il bestiame o andavano al lavoro nei campi. Mentre e donne si
dedicavano all’accudimento dei figli e dei nonni che, al tempo, vivevano in
famiglia fino al loro ultimo respiro. Si dedicavano alla pulizia della casa
riservando un bel margine di tempo per cucinare.
Il camino veniva acceso d’estate e in
inverno per cuocere la polenta, alimento quotidiano, immancabile e sempre
gradito. Alla catena nel focolare veniva appeso il paiolo con l‘acqua salata e a seguire, veniva versata la farina gialla per
essere rimestata con la lunga canna di legno per non meno di quarantacinque
minuti.
Attualmente la polenta, cotta sul gas, nel più breve tempo possibile, viene
servita morbida e a cucchiaiate/, ma allora era
tutta un’altra musica ! Le donne erano espertissime nel rovesciare sul tagliere
la polenta che si presentava sufficientemente soda per essere affettata con una
filo bianco nuovo ogni volta. Una bella fetta di polenta era già di per sé
sufficiente a sfamarci, ma era quasi sempre completata da un uovo al burro o da
un pezzo di formaggio o più frequentemente da qualcosa in umido come fagioli,
patate e qualche volta, raramente, carne.
Gli ossi buchi, lo spezzatino e il cappello da prete/, il filetto e i tagli pregiati, oggi abitualmente
consumati, sono arrivati molto anni dopo sulle
nostre mense. L‘alimentazione era essenziale e sana e privilegiava le verdure
che trionfavano convertite in saporiti minestroni oppure con i legumi e cereali
in umido. Altri tempi che, a chi non li ha vissuti sembrano primordiali e
lontanissimi, ma che ai pochi superstiti della mia generazione sono rimasti
eloquenti nel cuore. remucci@ alice.it
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