venerdì 25 aprile 2008

1940 – 1945 prima parte

Estate 2003 - Seduta in un bus cittadino osservo una giovane donna che, sbuffando, si destreggia per trovare una collocazione a vari sacchetti del supermercato, colmi di ogni genere alimentare.

Nel dare voce al suo disagio si rivolge a me con tono pieno di sconforto: “Sempre a sfacchinare con queste borse…..poi cucinare….fare di nuovo la spesa…..preparare altri pasti ….proprio una bella routine!.“

Le rivolgo soltanto un sorriso perché, improvviso, riaffiora il ricordo di un tempo in cui rincasare con borse piene di ogni ben di Dio sarebbe stato, per me e per molti, il colmo della felicità.

Quando avevo poco meno dell’ età della mia occasionale interlocutrice, c’era la guerra ed erano le privazioni e la fame le componenti più significative …della mia routine. E, inaspettatamente, i miei pensieri galoppano a ritroso.

Quando, il 10 giugno 1940, l’Italia entrò in guerra mi accingevo ad affrontare la mia adolescenza con la naturale incoscienza dell’età che (almeno inizialmente) mi aiutò ad affrontare gli eventi.

Di quegli anni ricordo il sentimento che coglievo negli occhi degli adulti a cominciare da mia madre. Rivelava inquietudine, paura. Variava soltanto l’intensità o la sfumatura che oscillava tra la preoccupazione, la tristezza o l’angoscia.

Erano occhi che spiavano continuamente : il cielo (e la nuvolosità era sempre la benvenuta perché diradava i bombardamenti); le strade, perché gli uomini in divisa (qualunque divisa) potevano costituire un pericolo. Erano occhi che scrutavano altri occhi perché i contrasti ideologici di quegli anni potevano avere un prezzo altissimo. L’ansia era costante. Mancava tutto.


Per l’acquisto del pane (scuro, ma non integrale come si usa oggi) veniva consegnata ad ognuno una tessera suddivisa in bollini. Un bollino = un pane. Quattro al giorno per la mia famiglia, e noi eravamo in quattro. Mia madre in quel tempo “soffriva di inappetenza” oppure “aveva già mangiato”.

La mamma però aveva trovato un espediente che le costava non poca fatica: partiva in bicicletta ogni mattina all’alba e si recava in una cascina sperduta nella nebbia della pianura padana. Barattava qualche nostra cosa in cambio di due panini bianchi che una contadina le cedeva.

Due tesori che portava a casa e custodiva gelosamente : uno per papà (sempre dolorante per un’ulcera contratta durante la lunga permanenza in trincea durante la precedente guerra del 1915/18) e l’altro veniva tagliato e servito come dessert alla fine della parca cena: un po’ per ognuna di noi, le tre donne di casa.


Lo gustavamo a bocconcini in compiaciuto silenzio dopo esserci accertate che la porta di casa fosse ben chiusa e non si faceva cenno ad anima viva di questi nostri festini. Si potevano avere guai gravissimi per un tale privilegio!

So però che nella bruma mattutina, nelle fredde albe invernali, un occhio attento non avrebbe visto solo la mia mamma pedalare velocemente verso la campagna. Le stesse necessità coinvolgevano tutti e, in quegli anni, solo nelle cascine si poteva trovare qualcosa per non soffrire troppo per la fame. Tutto era razionato, anche l’olio , ma qualche patatina lessata e calda sembrava deliziosa anche così. Uova, latte, burro, farina, …inestimabili tesori! - segue
– A domani !

2 commenti:

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    di più non so commentare!

    Ti auguro una buona notte e ti mando qualche tonnellata di coccole per pareggiare col passato!
    adb

    PS ho dovuto cancellare il primo commento perché non andava bene!
    un bacio

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  2. caro Angelo, quante cose si possono dire in silenzio. Io ho sentito il tuo stupore e la tua partecipazione. C'era tutto questo nella tua "tonnellata di coccole per pareggiare il passato!" Grazie.

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